Altroché crisi del 2008: stando al rapporto dell’Area Studi di Mediobanca, la performance negativa delle società industriali e dei servizi quotate in Borsa, per effetto dell’emergenza coronavirus, va fatta risalire ai livelli di 30 anni fa. Le 25 aziende prese in esame hanno visto in questi mesi di blocco delle attività la loro capitalizzazione sul mercato finanziario ridursi di oltre il 22%: in termini quantitativi, significa aver bruciato la bellezza complessiva di 83 miliardi di euro. Calo netto anche dei fatturati: -13,7% nell’insieme, anche se i servizi hanno evitato ribassi a doppia cifra (-8,8%). La manifattura invece paga l’11,8%, il peggior calo da 30 anni.
Nel dettaglio, lo studio di Mediobanca analizza 25 società del Ftse Mib, quindi tra le più capitalizzate di Piazza Affari: si tratta di 13 società a controllo privato e 12 società a controllo pubblico, 16 manifatturiere, 6 energetiche/utilities, 2 di servizi e 1 petrolifera (Eni). Per quanto riguarda la capitalizzazione, a perdere di più in termini percentuali sono state nei primi tre mesi del 2020 Fca (valore dimezzato) ed Eni (-35%), mentre hanno guadagnato terreno solo Recordati e Diasorin, peraltro limitandosi intorno al +2% nonostante le ottime prospettive del settore farmaceutico.
Il trend negativo è confermato dai risultati netti di gruppo, cioè l’utile. Per le società del Ftse Mib il primo trimestre 2020 si è chiuso in rosso, segnando una perdita netta di quasi 8 miliardo (-8,2%). Petrolifero (-27%) e manifattura (-9,6%) i comparti più in difficoltà, mentre in questo caso si salvano i servizi e addirittura Tim viene fuori con un utile più che triplicato, determinato in massima parte dalla plusvalenza sulla cessione del 4,3% di INWIT.
Per quanto riguarda i dividendi, nel 2020 ne verranno distribuiti complessivamente oltre 900 milioni in meno (-7,2%) rispetto al 2019. La riduzione riguarderà soltanto i gruppi privati (-1,6 miliardi), mentre aumenteranno leggermente i dividendi distribuiti dai gruppi pubblici (+0,7 miliardi).
Quanto al fatturato, il prezzo peggiore lo ha pagato proprio la manifattura, fiore all’occhiello del made in Italy e campione dell’export. Le società quotate prese in esame hanno infatti in totale 101 stabilimenti produttivi in tutta Italia: 51 al Nord, 23 al Centro, 22 al Sud e 5 nelle Isole. In generale, al di là dei grandi gruppi quotati in Borsa, la crisi da Covid-19 ha costretto il 59% delle aziende industriali alla chiusura (contro il 37% dei servizi). Il calo del fatturato avvenuto nel primo trimestre 2020 (-11,8%) è il peggiore degli ultimi 30 anni e l’unico in doppia cifra.
A diminuire sono stati specialmente i ricavi realizzati nell’area EMEA (-15,4%), seguita dalle Americhe (-10,6%) e dall’area Asia e Pacifico (-5,7%). La flessione è più netta per la manifattura privata (-13,6%) rispetto a quella pubblica (-3%). Allo stesso modo, per quanto riguarda i margini industriali (MON -61,9%), la manifattura privata registra un crollo (-71,1%) assai superiore rispetto a quello dei gruppi a partecipazione pubblica (-31,1%). L’incidenza del margine industriale sul fatturato (ebit margin) è il più basso dal 1994 e si ferma a quota 2,9% (era il 7,9% nel 2019).
Le difficoltà riguardano anche le altre principali voci di bilancio: nei primi tre mesi del 2020 si è registrata infatti una perdita netta di 2,2 miliardi e una contrazione di -9,6% del risultato netto rapportato al fatturato rispetto al primo trimestre 2019 (la più ampia delle ultime tre decadi). Anche in questo caso la manifattura privata subisce un colpo più pesante (-10,4%) rispetto a quella pubblica (-5,9%). Per quanto concerne la liquidità, infine, il calo si avvicina a un quarto del totale (-23,9%, pari a -7,4 miliardi), con la manifattura privata che perde -4,8 miliardi di cassa e la pubblica -2,6 miliardi rispetto alla fine del 2019.