Gli effetti della pandemia che sta mettendo in ginocchio l’intero pianeta si ripercuotono inevitabilmente anche sui mercati finanziari. Abbiamo visto in queste settimane le Borse crollare, le grandi aziende rivedere i loro obiettivi (e in alcuni casi anche i loro business), un bene rifugio come l’oro tornare sui valore massimi dal febbraio 2013. E soprattutto una materia prima come il petrolio precipitare intorno ai 25 dollari al barile (ultimo prezzo del Brent al 27 marzo).
Nei giorni scorsi il greggio ha subito un sorpasso storico, che solo il Covid-19 poteva provocare: la corsa ai beni necessari, e dunque alle materie prime alimentari, ha fatto sì che il prezzo del grano superasse quello dell’oro nero. Una precisazione però va fatta: i valori presi in considerazione sono quelli relativi alla Russia, uno dei primi produttori mondiali sia di grano che di petrolio. La scorsa settimana le quotazioni del grano nel paese di Putin (che infatti ha deciso di limitare le esportazioni) avevano raggiunto i 13.270 rubli per tonnellata, superando addirittura quello del petrolio degli Urali, che è sceso a 12.850 rubli per tonnellata.
Ma anche il prezzo internazionale del grano è sensibilmente lievitato, secondo quanto risulta analizzando l’andamento della borsa di riferimento per il settore delle materie prime agricole, il Chicago Board of Trade (CBOT): nell’ultima settimana il prezzo dei contratti futures con consegna a maggio è ulteriormente aumentato del 6%, toccando i 587 dollari per tonnellata (ad ottobre era intorno ai 500), mentre la soia è salita di circa il 2% e il mais ha incrementato il valore dello 0,7% sempre nello stesso periodo.
Il trend è talmente al rialzo che, come detto, la Russia sta pensando di proteggere parte del raccolto, limitando l’export (Mosca è il primo esportatore di grano al mondo), mentre il Kazakistan, un altro dei maggiori venditori, ha addirittura vietato le esportazioni della quanto mai preziosa materia prima. L’aumento del grano, che è il prodotto più rappresentativo dell’alimentazione nei Paesi occidentali, è però secondo Coldiretti solo la punta dell’iceberg: tensioni si registrano anche per il riso con il Vietnam che ha temporaneamente sospeso i nuovi contratti di esportazione mentre le quotazioni in Thailandia sono salite ai massimi dall’agosto 2013.
In aumento anche la soia, il prodotto agricolo trai più coltivati nel mondo, con gli Stati Uniti che si contendono con il Brasile il primato globale nei raccolti e la Cina che è la più grande consumatrice mondiale perché costretta ad importarla per utilizzarla nell’alimentazione del bestiame in forte espansione con i consumi di carne.
L’Italia da parte sua è uno dei massimi esempi di quanto stia accadendo per il grano: nell’ultimo mese, a causa dell’emergenza sanitaria, sono praticamente raddoppiati gli acquisti di farina (+99,5%) ma sono saliti del 47,3% quelli di riso bianco e del 41,9% quelle di pasta di semola. Tra l’altro, l’Italia pur avendo ridimensionato la portata delle sue coltivazioni negli anni (nell’ultimo decennio è scomparso un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati), rimane la coltivazione più diffusa in Italia con circa trecentomila agricoltori impegnati.
Proprio in questa fase di massimo fabbisogno, si potrebbe dunque secondo Coldiretti puntare ad una maggiore autosufficienza, rilanciando il settore. L’Italia è oggi prima in Europa e seconda nel mondo nella produzione di grano duro destinato alla pasta, con una stima di 1,2 milioni di ettari seminati nel 2020 in aumento dello 0,5%, con una produzione attorno ai 4,1 miliardi di chili. Ma forte è ancora l’importazione dall’estero (pari a circa 30% del fabbisogno) con ben 793 milioni di chili in aumento del 260% arrivati dopo l’accordo CETA dal Canada. Con questi prezzi, può essere un (ulteriore) problema.