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Educazione finanziaria, Italia ancora indietro ma migliora

FIRSTonline

L’Italia è da sempre in fondo alla classifica per l’educazione finanziaria, ma adesso si vede una luce in fondo al tunnel. Lo sostiene Annamaria Lusardi, fondatrice e direttrice del Gflec di Washington, nonché da pochi mesi presidente del Comitato nazionale per l’educazione finanziaria in Italia.

Nell’ultima indagine condotta tra i giovani dell’area Ocse, gli adolescenti italiani (età 15 anni) si sono posizionati a metà classifica. Non è il caso di gioire, anche perché il dato non si estende alle ragazze, ancora in fondo alla graduatoria dietro Brasile ed Indonesia. Ma resta il fatto che l’Italia, in media, è il Paese che è migliorato di più. A conferma che, finalmente, qualcosa si muove. Anche se a rilento.

“L’Italia può fare molti cambiamenti. E le donne non possono restare indietro”, afferma Lusardi, a cui il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha affidato la missione di mettere in atto una strategia nazionale, che sappia far convergere i tanti sforzi profusi in questi anni, spesso in maniera episodica e non organizzata.

Ma lo spirito pragmatico che ha animato il secondo convegno annuale di Global Thinking dedicato alla “Educazione finanziaria per un futuro sostenibile” conferma che il sistema è ormai entrato in una fase più matura. “Non è questione di fondi, che non mancano, ma di organizzazione”, ha detto Andrea Beltratti, presidente della Feduf (Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio di Abi), uno dei tecnici che Claudia Segre, presidente del Global Thinking Foundation, ha coinvolto nella giornata di studio assieme a Magda Bianco della Banca d’Italia ed alla presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello.

Senza dimenticare l’intervento di Alan Krueger, già presidente dei consiglio dei consulenti economici del presidente Obama, che ha tracciato un quadro della gig economica, nuova frontiera del lavoro che promette di travolgere gli steccati delle conoscenze più consolidate. Oltre naturalmente ad Annamaria Lusardi, animatrice a Washington del Global Financial Literacy Excellence Center, che ha presentato per l’occasione una ricerca sulle implicazioni di genere nell’alfabetizzazione finanziaria commissionata da Glt Foundation.   

Secondo una ricerca internazionale del 2014 che ha coinvolto persone di tutte le età di Paesi avanzati, solo il 37%  degli italiani ha saputo rispondere ad almeno tre domande su quattro (i quesiti riguardavano una conoscenza matematica elementare, il calcolo di un interesse composto, il concetto di inflazione e quello di diversificazione del rischio). Peggio che in Sud Africa e Russia. Il paragone con i Brics non è azzardato. Anche in Italia, come negli Emergenti, i più alfabetizzati sono i giovani. Anche in Italia, come nei Brics, il parametro in cui gli intervistati si rivelano più deboli è quello della diversificazione del rischio.

La situazione precipita quando si esamina il gender gap: le donne accusano un ritardo di 5 punti percentuali rispetto agli uomini. A cosa attribuire questo ritardo? Il reddito c’entra poco, secondo Lusardi. Anche il livello culturale non spiega il gap, soprattutto se si considera che le ragazze sono in media assai più brave a scuola. Forse un certo peso si può attribuire alla diffidenza tradizionale della cultura accademica per le scelte sociali. Un peso più rilevante è legato al minor tasso di occupazione femminile: il mondo del lavoro è un canale di trasmissione di conoscenze e di esperienze che negato alle donne che stanno a casa.

Il risultato di questo gap è una consistente riduzione della libertà. “L’ignoranza in questa materia non è un’opzione – afferma Lusardi – Semmai è un handicap grave come non saper né leggere né scrivere. L’Italia deve e può fare molto in questa materia”.  

Non è il caso, secondo Beltratti, di chiedere l’istituzione di nuove materie scolastiche: “I ragazzi sono fin troppo impegnati, né vedo spazio per eventuali sostituzioni”. E allora il passo in avanti rispetto a quel che si è fatto negli ultimi anni richiede una ricetta basata sull’organizzazione, per mettere a frutto le mille iniziative che già si realizzano, più attenzione alla qualità e, soprattutto, alla misurazione dei risultati.

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