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Ecuador, la rinuncia al petrolio in Amazzonia ha un costo: il Pil perderà quasi l’1%

Pixabay

Le politiche ambientali hanno un costo altissimo, soprattutto per quei Paesi che non hanno le spalle così larghe. Che non hanno cioè una struttura industriale così solida da permettersi di rinunciare ad attività inquinanti ma redditizie, senza che la loro crescita e il loro tessuto socio-economico ne risultino compromessi. È facile farlo quando si è la Scandinavia, meno ad esempio quando si è l’Ecuador. Il caso del Paese sudamericano, che andrà al voto il 15 di ottobre dopo le dimissioni del presidente Guillermo Lasso finito sotto impeachment, è particolarmente interessante e significativo. Poco prima di essere travolto dalla crisi politica, Lasso aveva infatti indetto un referendum per sospendere l’estrazione di petrolio dal bacino amazzonico e anche le attività minerarie nella Reserva do Chocò, vicino alla capitale Quito.

Stop all’estrazione di petrolio

L’iniziativa ricevette il plauso della comunità internazionale, proprio perché andava nella direzione della tutela ambientale, peraltro in un momento storico in cui altri Paesi dell’Amazzonia (su tutti il Brasile) stanno invece un po’ nicchiando sul tema. Il referendum è passato col 59% dei voti, e questa è una buona notizia per la foresta amazzonica, ma un po’ meno per l’economia ecuadoregna. Anzi, secondo alcune stime la mossa green provocherà diversi grattacapi al prossimo governo. Per l’Ecuador le attività petrolifere valgono 600 milioni di dollari l’anno e secondo le stime della Banca centrale di Quito il Pil rallenterebbe di quasi l’1% nel 2023 rispetto alla precedente previsione di crescita del 2,7%. E secondo le stime di alcune società di consulenza private, la crescita del prodotto interno lordo potrebbe diminuire addirittura fino all’1,5%. Per dare un parametro dell’impatto, giova ricordare che la crescita media del Pil ecuadoregno negli ultimi 15 anni è stata del 2,1%.

Le conseguenze politiche

Oltre ai numeri, ci sono poi le conseguenze sul piano politico, strategico e sociale. Nel Paese infatti stanno aumentando le tensioni in vista del voto decisivo di ottobre, quando il favorito per la vittoria al secondo turno, stando ai sondaggi, dovrebbe essere il conservatore Daniel Noboa, che al primo turno ha ottenuto un sorprendente 23,6%. Alla vigilia Noboa, che è uno degli uomini più ricchi del Paese, era assolutamente un outsider, ma non è detto che la sua ascesa sia una buona notizia, visto che è appoggiato da una coalizione molto eterogenea e dunque non avrà una maggioranza stabile in Parlamento. Il che non gli darà molto margine per affrontare le incertezze di una nuova politica energetica. In questo clima, sale la preoccupazione per la tenuta sociale di un Paese in cui la disoccupazione è inferiore al 5% ma il 56% dei cittadini svolge un lavoro precario e il 25% vive sotto la soglia di povertà.

Rischio fuga degli investimenti

Infine, ma non meno importante, la sospensione dell’estrazione del petrolio in Amazzonia e le elezioni potrebbero innescare una fuga degli investimenti esteri (che per la verità contano solo per l’1%) e soprattutto degli investimenti delle grandi aziende statali, che vedrebbero le loro casse svuotate dalla riduzione delle attività petrolifere e minerarie. Senza contare che l’Ecuador è sempre sull’orlo di una guerra civile: la campagna elettorale è stata segnata da un’escalation di violenze, che hanno portato all’omicidio del candidato Fernando Villavicencio durante un comizio, e il narcotraffico è sempre più forte. Difendere l’ambiente, forse, non è per tutti.

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