La ripresa in atto a livello mondiale, più che in occasioni passate, è risultata poco inclusiva. Tra il 2005 e il 2015 i redditi reali di due terzi delle famiglie di 25 paesi avanzati sono rimasti fermi o sono scesi, contro una crescita del 2% circa in media nel decennio precedente.
L’Ocse in un recente rapporto osserva come nella maggior parte dei paesi avanzati a partire dal 2007 si sia registrato un peggioramento della qualità delle condizioni lavorative, fenomeno divenuto particolarmente evidente nel Regno Unito, in Grecia, negli Stati Uniti, in Ungheria e in Italia.
Tra i paesi Ocse la ripresa in atto dal 2010 non solo non ha invertito il trend in atto di crescente polarizzazione nella distribuzione del reddito tra diverse classi di percettori ma in alcuni casi lo ha accentuato. Rispetto al 2007, nel 2014 in media i redditi dei lavoratori erano dell’1,4% più bassi. Il dato è frutto di un calo del 13,8% tra quelli più bassi e di un aumento dello 0,7% tra i più elevati.
La crescente disparità nella crescita dei redditi ha provocato, tra le altre cose, una modifica del peso che le diverse classi hanno sulla popolazione complessiva (polarizzazione). Un’indagine interessante in questa direzione è stata svolta di recente dal Fondo monetario internazionale con riferimento agli Stati Uniti.
Nel paese a partire dall’inizio degli anni Settanta la fascia di reddito media si è gradualmente assottigliata passando dal 58 al 48% circa della popolazione. Il passaggio verso il basso di una quota rilevante di famiglie a reddito medio è risultato generalizzato e indipendente dall’età del capofamiglia, dal livello di istruzione e dalla razza.
In Italia, dove la ripresa ha avuto un percorso più lento che in molti paesi Ocse, e dove il mercato del lavoro vive ancora un momento difficile, il peggioramento delle condizioni economiche di un numero consistente di famiglie è stato di recente evidenziato da numerosi documenti.
Secondo l’Istat la popolazione esposta a rischio povertà o esclusione sociale nel 2015 arrivava quasi a 17,5 milioni di unità, circa 4,6 milioni in più rispetto al target fissato nella strategia Europa 2020. In termini percentuali si tratta del 28,7% della popolazione, un valore simile a quello spagnolo ma ben più alto di quello francese (17,7%), tedesco (20%) e del Regno Unito (23,5%).