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Economia, la febbre degli acronimi: dalla QUIR alla TASI

Si chiama QUIR e sta per entrare nelle case di milioni d’italiani. Non è un alieno, ma un acronimo. A volerlo sciogliere, se ne ricava un nome completo che fa concorrenza a quello di Picasso*: Quota maturanda del Trattamento di fine rapporto come parte Integrativa della Retribuzione. Per gli amici, il TFR in busta paga. Bastano quattro parole per essere chiari, ma il burocratese impone d’inventarne addirittura 12 per esprimere lo stesso concetto, salvo poi condensare il tutto in un ermetico groviglio di poche lettere. E così è nata la QUIR (sì, è femminile), ultimo prodotto della scuola poetica ministeriale.

Quella degli acronimi è una mania tipicamente americana, ma da qualche anno prospera anche qui da noi. Fra i tanti esempi d’alta ispirazione, il caso più indimenticabile è forse quello della TASI. In origine, quella che poi è diventata la Tassa sui servizi indivisibili era stata battezzata diversamente: TASER. Bello, no? Vengono in mente le spade laser di Star Wars (a proposito, anche LASER è un acronimo: Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation). Peccato che la stessa sequenza di lettere avesse già un significato in English: dicesi taser, la pistola elettrica paralizzante con cui le forze dell’ordine atterrano i delinquenti. Non proprio una bella immagine da associare al rapporto Fisco-contribuenti. 

Salvati (presumibilmente) da Google, i tecnici di via XX settembre corressero la svista, e ben presto, rimanendo in tema d’immobili, trovarono il modo di rifarsi. La tassazione sulla casa si è rivelata la madre più fertile che gli acronimi abbiano mai trovato in Italia. La TASI ha infatti due sorelle: la ben nota IMU (Imposta Municipale Unica, nipote dell’ICI, l’Imposta Comunale sugli Immobili) e la travagliata TARI (Tassa sui Rifiuti), che prima si chiamava TARES (Tributo comunale su Rifiuti e Servizi), la quale a sua volta aveva sostituito la strana coppia TIA (Tariffa di igiene ambientale) e TARSU (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani). Senza dimenticare che oggi TARI, IMU e TASI fanno tutte parte della grande famiglia IUC (Imposta unica comunale, anche se il primo aggettivo suona quasi ironico).  

Un’altra fonte inesauribile di acronimi affascinanti è la Banca centrale europea (scusate, la BCE). L’ultimo in ordine cronologico è il QE (Quantitative easing), l’allentamento monetario tramite acquisto di titoli da parte dell’Eurotower. In precedenza, Francoforte si era prodotta in due variazioni su un tema: prima LTRO (Long Term Refinancing Operation), poi TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operation), a seconda che i prestiti alle banche fossero vincolati o meno al credito all’economia reale. E come dimenticare le OMT (Outright Monetary Transactions), gli acquisti illimitati di titoli di Stato il cui solo annuncio ha spento la speculazione sugli spread?

L’economia internazionale, sempre avara di vocali, ci ha regalato poi l’EFSF (European Financial Stability Facility) e l’ESM (European Stability Mechanism), i due fondi salva Stati ben noti dalle parti di Atene. Le crisi militari internazionali hanno invece dato fama all’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), che spesso si sente confondere con la più nota OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Sul fronte societario, nelle ultime settimane lo scandalo legato alla Lista Falciani ha portato tristemente alla ribalta HSBC (Hongkong & Shanghai Banking Corporation), primo gruppo bancario europeo per capitalizzazione. Ma nel 2014 l’acronimo aziendale più sorprendente è stato certamente FCA (Fiat-Chrysler Automobiles), nato dalla fusione della casa automobilistica di Torino con quella di Detroit.  

Quanto al lavoro, tutti sanno che stanno per sparire sia i CO.CO.CO (Contratti di Collaborazione Continuativa) sia i CO.CO.PRO (Contratti di Collaborazione a Progetto), ma in pochi conoscono il mistero della riforma che li cancella: ebbene sì, anche il JOBS ACT è un acronimo, o perlomeno lo era, visto che fu coniato dall’amministrazione Obama nel 2012 con la seguente (e acrobatica) giustificazione onomastica: Jumpstart Our Business Startups Act.

Poi c’è l’OPA lanciata martedì da Mediaset su Rai Way. Il primo acronimo è semplice (Offerta Pubblica d’Acquisto), ma RAI che voleva dire in origine? Radiotelevisione italiana? Sbagliato. La prima società nacque nel 1944 con il nome di Radio Audizioni Italiane. Perlomeno, erano solo tre parole.

(*Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso) 

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