No, è il Kindle a essere stupido
Arnaud Nourry è il capo di Hachette Livre dal 2003. Hachette è una delle più grandi case editrici del mondo: controlla 170 marchi e pubblica 17mila titoli all’anno. Tra i suoi autori: John Grisham, James Patterson, Robert Ludlum e Stephen King. Recentemente Nourry ha rilasciato un’intervista al sito indiano Scroll.in sulle prospettive di Hachette in India. Con l’occasione ha avuto modo di affrontare la questione dell’editoria digitale affermando che l’ebook è un prodotto stupido in cui non c’è nessuna creatività e nessun sviluppo per l’editoria. Le affermazioni si Nourry sono state riportate dal Guardian e dal Post, come il de profundis di questa tecnologia.
Abbiamo chiesto a Mario Mancini, co-fondatore di goWare, una start-up di nuova editoria che pubblica app, ebook e POD per i nuovi media, di commentare le affermazioni di Nourry. Mario Mancini è anche autore di due libri sulla nuova editoria entrambi pubblicati da goWare: Schermocracy. Libro o ebook? (2014) e Amazon vs Apple. Breve storia della nuova editoria a dieci anni dal Kindle (2018).
Perché l’ebook è stupido
È vero che l’ebook è stupito come sostiene Ariel Nourry, CEO di Hachette? Certo che l’ebook è stupido. “Stupido è chi stupido fa”, diceva la madre di Forrest Gump. Se continui a fare cose stupide, vuol dire che, seppur potenzialmente intelligente, sei uno stupido. È questa l’accezione di stupido per gli ebook. È stupido perché volutamente depotenziato; perché deliberatamente tenuto in uno stato di stupida minorità. Creativi, editori e piattaforme utilizzano questo nuovo media e la tecnologia che lo motorizza al 10% delle sue effettive potenzialità. Vorrei essere ancor più chiaro. In ultima analisi, e dispiace dirlo perché è tutto è partito di qui dieci anni fa, è il Kindle ad essere stupido. La tecnologia del Kindle, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, è primitiva.
In che senso primitiva?
Il Kindle si preoccupa solo di conservare la forma classica del libro. Incita a scrivere per la forma classica del libro. È qualcosa di inutilizzabile per chiunque si ponga il problema centrale di innovare il contenuto narrativo. Uno sviluppo oggi cruciale vista l’ubiquità dei nuovi dispositivi intelligenti per informarsi, apprendere, divertirsi, comunicare e anche leggere. Non è vero che si legge di meno, l’umanità non hai mai letto tanto quanto legge adesso. E siccome l’ebook è stupido, perché, come dice Nourry, “è uguale al libro di carta, non c’è creatività, miglioramento, vera esperienza digitale” e costa solo qualche euro in meno dell’aristocratico libro, succede che i lettori comprano i libri e gli scrittori scrivono libri e non ebook. E coloro che non hanno mai letto libri, e che potrebbero essere raggiunti con ebook di nuova generazione, continuano a non leggere libri. Un circolo poco virtuoso.
È per questo che i lettori, dopo un’infatuazione per gli ebook, sono tornati all’ovile?
Sì. La partita ebook-libro non si può neppure giocare nelle condizioni attuali. Mentre il libro rimane per secoli e si apprezza con il tempo, l’ebook è transeunte come qualsiasi tecnologia moderna.
Dell’ebook non si ha neppure la proprietà piena perché non lo si acquista, lo si prende in licenza d’uso come il software. L’ebook è privato di ogni valore di scambio e il valore d’uso è inferiore all’originale. L’unica leva è il prezzo, ma con il livellamento di quest’ultimo ogni vantaggio competitivo viene meno. L’ebook ha innovato solo la catena distributiva, ed è già tantissimo, ma nel contenuto e nel format non è si è visto nulla.
Parliamo, appunto, del livellamento prezzo.
Guarda, è lo stesso Nourry che lo spiega meglio di qualsiasi altro quando dice:
“Quando sono diventato CEO di Hachette nel 2003 ho studiato quello che è accaduto alla musica, al cinema e ai giornali. Mi sono convinto della necessità degli editori di libri di tenere il controllo dei prezzi. Se nei mercati occidentali consentiamo all’ebook di scendere di prezzo di 2 o 3 euro succede che salta tutta l’infrastruttura del mercato. Muoiono le librerie, muore la grande distribuzione, cadono i ricavi degli autori. Dobbiamo difendere la logica del nostro mercato contro gli interessi dei gruppi tecnologici e del loro modello di business”.
Chiaro, no? Nourry, però, non deve preoccuparsi dei tecnologici e di Amazon, in particolare, che non ha nessuna intenzione di mettere a soqquadro questo mercato dal momento che le sue vendite di libri crescono del 35% su base annua, mentre quelle dei competitor crollano o ristagnano. Siamo ormai a una stabilizzazione del conflitto Amazon-resto del mondo.
Le conseguenze di questo stato di cose
Perché il Kindle è il problema?
Purtroppo, o fortunatamente, sul Kindle passa l’80% del mercato digitale del libro. La posizione egemonica della tecnologia Kindle, però, soffoca l’innovazione, o meglio non attrae innovazione. In che senso? Per esempio, sviluppare un link ipertestuale su e-reader Kindle può diventare un’esperienza all’Indiana Jones. Se un misero link diventa un problema, che cosa ci resta? Gli scrittori, che dovrebbero allearsi con gli sviluppatori e i creatori di videogiochi per produrre un contenuto narrativo di nuovo tipo, non vanno a cercare nessuno perché non si può lavorare un anno per qualcosa che non ha un mercato o si rivolge a un mercato grande il 5%.
È una situazione modificabile?
Purtroppo non si vede come poter modificare questa situazione. A farlo dovrebbe essere la stessa Amazon, che innova furiosamente in tutti i campi, ma in questo comparto si comporta da incumbent: il business così com’è gli va bene. Dagli editori c’è da aspettarsi poco perché vedono l’ebook come un fattore distruttivo del loro fatturato. Gli autori stanno a guardare. Qualcuno ha fatto qualcosa di importante. La Rowling, per esempio, ha fondato Pottermore dove distribuisce le storie di Harry Potter in formati digitali innovativi. Ma Pottermore è l’unica attività della bionda scrittrice inglese che è in perdita. Pure James Patterson si è mobilitato per creare qualcosa di adatto a questo nuovo canale. Ma nessuna di queste iniziative ha avuto un seguito o scatenato un “network effect”. Non è facile farlo.
La Apple potrebbe fare qualcosa?
La Apple è senza speranza. La Apple ha tutto quelle che servirebbe per accogliere l’innovazione di contenuto degli scrittori e dei narratori: ha l’hardware e il software migliori, ha un negozio dedicato e ci sono un miliardo e mezzo di dispositivi IOS nelle tasche dei consumatori pronti a spendere. Ma
sugli ebook ha sbagliato tutto ed ora è in una posizione di imbarazzante irrilevanza. Ti dico un caso che conosco bene. La goWare, dove lavoro, è un startup di nuova editoria che dal 2009 pubblica app, ebook e POD per i nuovi media. Bene, quando è arrivato l’iPad nel 2010 il suo business passava per il 60% per l’iBookstore di Apple. Oggi su Apple realizza solo il 3%. Speriamo che lo faccia. Ma la partita con Amazon è perduta, come spiego anche nel mio libro.
Sconfortante. Ma la Apple non si definisce oggi una società media?
Hanno un bel dire Tim Cook e Luca Maestri che la Apple è diventata una società di media e di contenuti. In realtà Apple è una società troppo elitaria per accogliere un’innovazione che viene dal basso come quella necessaria per innovare questo comparto. Sembra che adesso stiano rimettendo mano a iBooks ed a iBookstore per rilanciare il business. Le intenzioni sembrano buone tanto che è stato deciso di togliere il jobsiano prefisso “i” alla denominazione dell’app e del negozio. Vogliono dare un segnale forte al mercato. Non ci resta che attendere e vedere. La Apple può davvero stupirci. Speriamo che lo faccia. Ma la partita con Amazon è perduta, come spiego anche nel mio libro.
Gli editori possono fare qualcosa?
Possono fare moltissimo come lo possono fare i loro autori. Ma sono delle montagne di sale. Lo spiega molto bene Nourry quando afferma:
“Possiamo inventare qualcosa di nuovo usando i nostri contenuti e il digitale che vada oltre gli ebook, ma sono giunto alla conclusione che non abbiamo le capacità e i talenti necessari per questo. Nelle nostre imprese gli editor sono abituati a prendere un manoscritto e metterlo su una pagina di carta. Conoscono poco il potenziale del 3D e del digitale. Per questo negli ultimi due anni abbiamo comprato tre società produttrici di videogiochi, per acquisire talenti da industrie diverse e vedere come possiamo arricchire i contenuti e andare oltre gli ebook fotocopia. So che dobbiamo offrire esperienze diverse ai nostri clienti”.
E bravo Nourry. Un programma interessante. In tempi non sospetti Matteo Hoepli, che dirige il negozio online della storica libreria milanese, mi disse che le case editrici devono diventare delle case di software. Una previsione azzeccatissima Ma gli editori hanno bisogno di tempo e finché non si muovono i grandi editori, anche i grandi autori, quelli che hanno l’X-Factor, stanno alla finestra.
Oltre l’ebook
Come si può andare oltre gli ebook nel loro format attuale?
No certo con gli app-book. Esperienza chiusa. Quello delle app-book è un pubblico e un canale completamente diverso da quello editoriale. Ci sono certamente delle sovrapposizioni di pubblico, ma dalle app il consumatore, anche se lettore forte, si aspetta un’interattività spinta, qualcosa di pavloviano che un contenuto narrativo tradizionale, seppur rivisitato, non può fornire. Quindi capisco benissimo quello che dice Nourry quando afferma:
Noi editori abbiamo provato a migliorare o arricchire gli ebook, ma non ha funzionato. Abbiamo provato app e siti: i successi sono stati uno o due e i fallimenti a centinaia.
I lettori non vanno su AppStore, su Google Play o sul web, vanno su Amazon a rifornirsi di prodotti editoriali a pagamento.
Eppure l’enhanced ebook sembrava una bella idea?
Sembrava perché stava proprio nel canale corretto ed ereditava i concept dalle app. Ma anche questa è un’esperienza chiusa, perché gli enhanced ebook non potevano essere acquistati sul Kindle Store, perché non funzionavano sui Kindle e-reader. Inoltre Inoltre questo prodotto non nasceva come un progetto teso a creare una vera esperienza digitale interattiva. Nasceva come libro + qualcosa di sfizioso. Quando penso a quella esperienza mi vengono in mente le sculture dell’Aurora e della Notte nella Sagrestia nuova delle cappelle medicee di Firenze. Siccome Michelangelo aveva difficoltà a raffigurare il corpo femminile, costruiva un corpo maschile a cui poi gli appendeva gli attributi femminili. Però quelli sono comunque degli enormi capolavori. Così è avvenuto con gli enhanced ebook. Si è preso un contenuto cartaceo a cui si sono aggiunti contenuti video, applet Java, test interattivi, mappe, link e tutto una roba raffazzonata che sembrava una gran cosa e invece era una c***ta. Non poteva funzionare. Il pubblico non è stupido come lo erano quegli ebook.
Amazon
Mi pare di capire che la chiave di svolta l’abbia Amazon. Che cosa ci si dovrebbe aspettare da Bezos & co.?
Sì, decisamente è Amazon che ha il passe-partout. Si potrebbe cominciare con un passo molto semplice, una decisione da pigliare con uno schioccar di dita. Non avrebbe alcuna conseguenza sull’utenza del Kindle, ma cambierebbe parecchio lo scenario di riferimento. Basterebbe che Amazon decidesse di supportare il formato epub3, mandando in pensione il formato mobipocket. Il formato ePub è già incorporato nel file che i consumatori scaricano dal Kindle Store. ePub3 è HTML 5, la tecnologia del web. Una bomba, si può fare tutto. Basterebbe che il software del Kindle invece di caricare un file mobi caricasse un file ePub. Si parla spesso di questo passaggio che però non avviene perché Amazon è satollo di libri e se ne sta buono nel suo ruolo a tal punto che il capo di Hachette, che considerava Amazon una minaccia alla cultura planetaria, oggi gli canta il peana:
Amazon ha giocato un ruolo fantastico nell’industria editoriale — dice Nourry. Tralasciando la nostra piccola disputa, è un rivenditore efficiente con la capacità di consegnare rapidamente i libri in ogni parte del mondo. È una grande opportunità per gli editori.
Viene da sorridere. In realtà il management di Amazon sa benissimo che cosa fare ma non ne ha voglia.
L’ePub3 basterebbe a scatenare l’innovazione?
No, non basta. Ci vorrebbe un secondo passo che è molto più difficile. Amazon dovrebbe progressivamente mettere in mora i suoi dispositivi e-ink per abbracciare interamente la tecnologia degli smartphone e dei tablet che è già implementata sui Kindle Fire e sull’app Kindle per i dispositivi retroilluminati. In Cina, una nazione che è già nel futuro, tutti leggono sugli smartphone di grande formato e sono in pochi a cercare gli e-reader dedicati, perché semplicemente non servono. I lettori occidentali sono molto più sofisticati, la tradizione del libro è molto più radicata e lo snobismo antitecnologico è molto più di moda, pertanto gli e-reader hanno un peso maggiore nelle scelte dei lettori. Non si può però non riconoscere che in questa area culturale gli e-reader hanno avuto una funzione utilissima di traghettamento del consumatore sulla sponda digitale. Hanno avuto… adesso a 10 anni dall’introduzione del Kindle si può osare di più. Ed è giusto farlo.
Che cosa suggeriresti ad Amazon?
Gli direi di implementare subito l’ePub3 e di lanciare un programma di rottamazione dei dispositivi e-ink con incentivi incoraggianti per passare al Kindle Fire, a un tablet o a uno smartphone di grande formato. Amazon potrebbe stringere degli accordi con produttori terzi. Sarebbe la mossa del cavallo che aprirebbe scenari impensabili adesso. Ma non succederà niente di tutto ciò.
L’esempio del cinema delle origini
Per concludere, esiste nella storia dei media moderni un esempio che può fare da viatico all’ebook?
Certo che esiste, è il cinema delle origini. Il cinema nasce dalla fotografia come tecnologia e dal vaudeville come contenuto così come l’ebook nasce dal web come tecnologia e dalla narrativa come contenuto. Grazie all’azione di pionieri come Georges Méliès ed Edwin Porter e all’iniziativa di imprenditori come Gaumont e Zukor, il cinematografo da un mezzo mimetico e derivato divenne un media che fu capace di sviluppare un nuovo e originale linguaggio espressivo e seppe creare dal nulla un nuovo pubblico di riferimento, un pubblico che l’industria culturale di allora non raggiungeva. Si trattò di uno sviluppo così importante e di una rivoluzione del gusto e del comportamento da rendere il cinema la settima arte, l’arte più amata dalle masse. L’industria del libro deve saper fare lo stesso percorso dell’industria cinematografica delle origini. E lo farà. Ha solo bisogno di tempo. Ma come diceva Keynes “nel lungo periodo siamo tutti morti”.