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EAST – Giuliano Amato: “Più coraggio di Popolari e Socialisti per fermare l’antieuropeismo”

Mentre tutti hanno gli sguardi puntati verso la Siria, c’è qualcuno che non perde d’occhio ciò che succede nel resto del mondo. I nuovi campioni è il titolo del nuovo numero di EAST, il 49, disponibile in edicola dal 1 settembre 2013. Nel suo dossier punta il faro verso i Brics, senza perdere d’occhio però il core della rivista: l’Europa e il difficile percorso verso una maggiore integrazione politica.

In un momento difficile per le diplomazie internazionali, quando i venti di guerra cominciano a soffiare nuovamente verso i territori del Medio Oriente, in un momento in cui Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia non sembrano essere mai state così divise, EAST ha chiesto al ex premier e vicepresidente del Trattato per la Costituzione europea (poi bocciato dai referendum di Francia e Olanda), Giuliano Amato, un contributo su come il Vecchio Continente si prepara alla nuova sfida elettorale per il rinnovamento del Parlamento di Strasburgo. Sarà possibile avviare il percorso verso un’Europa federale? Amato, nel suo intervento, auspica che Socialisti e Popolari fermino l’avanzata delle forze antieuropeiste trovando il coraggio di puntare su “più Europa”: un’Unione più integrata che torni a crescere senza tradire il suo modello sociale. Ecco uno stralcio del testo di Amato:

“Ci sono aspettative diverse attorno alle elezioni europee della prossima primavera. Un astensionismo più elevato del solito può far crescere il peso dei voti più antieuropei. Ne potrebbe uscire un Parlamento nel quale per la prima volta i movimenti populisti contendono la tradizionale egemonia dei Popolari e dei Socialisti, con conseguenze fino a oggi imprevedibili. Non so quanto questa previsione sia fondata e quanto si tratti di un incubo destinato a essere cancellato dai fatti. Ma qui si affaccia la seconda aspettativa, quella cioè che Socialisti e Popolari, allo scopo di contrastare la previsione (o l’incubo), insistano molto nella loro campagna elettorale sui temi sociali e della crescita, nella consapevolezza che per la stragrande maggioranza degli elettori l’Europa ha smesso di essere attraente perché ha smesso di offrire qualcosa in più rispetto agli Stati nazionali, ha smesso di difendere il suo modello sociale, ha smesso di adoprarsi affinché nessuno sia lasciato in mezzo alla strada.

[…] È più che auspicabile che i partiti tradizionali, al di là degli accenti diversi sulle politiche di austerità sinora seguite (più critici i Socialisti, più fermi i Popolari, che con la Cancelliera Merkel ne hanno assunto la maggiore responsabilità), convergano nell’impegnarsi sulla crescita e sulla salvaguardia dei diritti sociali. […] Servirebbe – come si suol dire – “più Europa” e più precisamente più risorse e più competenze al livello europeo, che permettano ad esso di assolvere a quel ruolo anticiclico, che è essenziale per attenuare e bilanciare gli effetti ciclici dell’austerità, alla quale gli Stati membri non possono sottrarsi e che da soli non possono compensare. […] Tutti però sono restii a farne un tema di campagna elettorale, perché la diffusa ostilità verso l’Europa com’è può rendere sgradito qualunque messaggio traducibile in “più Europa”, anche se con “più” si intende non una ulteriore razione di quella che abbiamo (more of the same), ma un’Europa più integrata e migliore. […] Insomma, quello che dovrebbe partire – o ripartire – è un nuovo ciclo di passi integrativi, in assenza dei quali rischiamo di restare nel collo di bottiglia in cui ci troviamo, preda dei populismi che capitalizzano l’inevitabile scontento e incapaci tuttavia di uscirne, perché paralizzati dalla paura dello stesso scontento.

Non sarà predicando socialità e crescita che i partiti europei supereranno questo paradosso. Dovranno avere il coraggio di spiegare e far condividere ciò che serve per recuperare l’una e l’altra cosa. Ed eccolo allora l’ingrediente risolutivo, quello che riesce a far fare le cose che non accadono da sole: il coraggio. Non possiamo collocarlo nel quadro delle aspettative e delle previsioni sulle prossime elezioni europee. Ma possiamo sperare che ci sia”.

E “Più Europa” è quanto chiede anche Giuseppe Scognamiglio, vicedirettore generale di Unicredit, che nel suo intervento spiega perché le democrazie nazionali non abbiano futuro, e come l’Unione possa uscire dalla “bufera globale” solo con maggiore integrazione finanziaria, fiscale, economica e politica. Verso l‘Europa federale.

Inoltre il nuovo numero di EAST riflette sul Medio Oriente e sulle ragioni della caduta del presidente Morsi in Egitto nella Cronaca di un fallimento di Shyam Bhatia: i Fratelli musulmani si preparavano a costituire una milizia islamica? Il complesso percorso del mondo arabo verso la democrazia è nell’analisi di Fadi Elhusseini. Chi è il nuovo presidente iraniano Hassan Rohani, il moderato che sostituisce Ahmadinejad, lo racconta invece Farian Sabahi.

“I nuovi campioni” dell’economia mondiale a cui è dedicato il titolo di EAST 49 non sono solo i Brics, ma anche i Mist: Messico, Indonesia, Sud Corea e Turchia. Il dossier di approfondimento di questo numero ne analizza successi, fragilità e contraddizioni: le proteste di Istanbul e la rilocalizzazione in Messico delle fabbriche che si erano trasferite in Cina. I trionfi globali di Seul, tra tecnologia e Gangnam Style, e la rabbia della Rio de Janeiro di Mondiali e Olimpiadi. Il boom indonesiano e il capitalismo russo oppresso da corruzione, burocrazia e ingerenza dello Stato. Perché, scrive Flavio Fusi nel suo editoriale, «i “nuovi campioni” sono ricchi ma anche poverissimi, sono duri ma fragili […]. Una fornace di contraddizioni sociali e politiche».

Dall’Europa l’ingresso della Croazia nell’Unione, che potrebbe trainare il resto dei Balcani. I rischi del referendum sull’indipendenza della Scozia da Londra, previsto per il 2014. L’emergenza-casa in Spagna. La crisi d’identità di una Francia schiacciata dai paragoni con Berlino. E l’astensionismo italiano visto da Eric Jozsef.

Dal Giappone Duecento anni di manga, il fumetto giapponese detto la “nona arte”, che ha inciso profondamente nella società e nel costume del Sol Levante.

E poi la rivoluzione delle stampanti 3D, per le quali si prevede un mercato da 750 miliardi di euro entro la fine del decennio. Una tecnologia dirompente, che potrebbe e cambiare gli equilibri mondiali e inaugurare una nuova era industriale: addio catena di montaggio?

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