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E’ subito effetto Berlusconi: la Borsa sprofonda e apre a -2% mentre lo spread sfiora quota 290

La crisi politica italiana affonda i mercati. Piazza Affari sprofonda in apertura di oltre due punti percentuali, mentre lo spread schizza fino a un massimo di 288 punti base, dopo aver chiuso venerdì a quota 264. 

Milano è maglia nera d’Europa, ma anche le altre principali Borse stamane viaggiano in rosso: Londra -1,08%, Parigi -1,26%, Francoforte -1,20%.

Chiusura in netto ribasso anche per la Borsa di Tokyo, con l’indice Nikkei che lascia sul campo il 2,06%, a 14.455,80 punti.

Sul listino Milanese soffrono in particolar modo le banche. I titoli peggiori sono quelli di Banca Pop Milano (-5,24%), Ubi Banca (-5,08%), Intesa Sanpaolo (-5,06%, su cui pesa anche l’inatteso cambio al vertice), Banco Popolare (-4,77%), Mediobanca (-4,36%) e Unicredit (-4,15%).

Quanto alla galassia berlusconiana, Mediaset cede il 4,58%, Mondadori il 2,14% e Mediolanum il 4,012%.  

L’unico titolo in rialzo è quello di Telecom Italia (+1,21%). 

Dopo l’accelerazione alla crisi di governo arrivata nel weekend, con le dimissioni dei ministri Pdl imposta da Silvio Berlusconi e la conseguente spaccatura nel partito, fra gli investitori c’è già chi pensa all’arrivo in Italia di una trojka d’ispettori (Ue-Bce-Fmi), come è già avvenuto ad Atene.

Un’ipotesi estrema, ma è certo che il nostor Paese è di nuovo la potenziale causa scatenante di una crisi dell’euro, con ricadute infauste per l’Unione Europea e, di riflesso, sulla ripresa globale.

Pesa sui mercati anche la delicata situazione americana: stasera, per la prima volta dopo 17 anni, il Tesoro Usa resterà a secco. Nella mattina di domenica la Camera, a maggioranza repubblicana, ha condizionato il via libera al finanziamento della spesa pubblica al rinvio di un anno della riforma sanitaria.

Il Senato, a maggioranza democratica, ha già respinto il “ricatto” imposto dalla destra del Tea Party. Di qui la paralisi: senza autorizzazione parlamentare il Tesoro non può attingere alla Riserva Federale. Dalla stretta alle spese sono state esentati, all’unanimità, gli stipendi dei militari. 

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