Uno squarcio autobiografico di Paolo Sorrentino nella sua Napoli negli anni ’80, all’epoca del mito di Maradona. Questa la storia raccontata dal regista napoletano nel suo ultimo lavoro “E’ stata la mano di Dio” che allude a due momenti importanti della sua giovinezza concatenati tra loro: il destino che l’ha salvato dalla tragedia che ha colpito i suoi due genitori e la passione per il grande calciatore argentino entrato nella storia anche per quel gol all’Inghilterra nei Mondiali di Calcio del 1986.
Sorrentino è certamente uno dei migliori registi italiani in circolazione e anche lui appartiene a quella schiera di quanti hanno la mano e l’occhio educati con la macchina da presa. Il film inizia con un lunghissimo piano sequenza che dall’alto mostra una panoramica di Napoli vista dal mare e con queste immagini ci mette subito il suo “marchio di fabbrica” come in parte già avvenuto con il premiatissimo La grande bellezza e le vedute immaginifiche di Roma. Da quel momento in poi si svelano i filoni portanti del suo racconto con tre grandi omaggi: alla sua famiglia, alla sua città e al cinema. I suoi genitori, gli amici di famiglia, i parenti e conoscenti sono un serbatoio fenomenale di umanità poliedrica e multiforme che solo apparentemente è “napoletana” per come si vorrebbe rappresentare forse in modo eccessivamente macchiettistico, di maniera, con un pizzico di De Filippo e un’altro di Totò, quanto invece sostanzialmente è universale, o meglio, tutta italiana con i suoi vizi e virtù, con le sue commedie e le sue tragedie.
Il racconto si concentra negli anni dell’adolescenza di Fabietto (nome del giovane protagonista) nel prima e nel dopo che precede e segue la tragedia che ha colpito i suoi genitori. In questi due momenti si legge il suo futuro nel mondo del cinema che non può essere a Napoli ma a Roma dove andrà a cercare di “raccontare una storia” come gli dice il personaggio/regista Capuano in una delle scene finali forse più intense e suggestive.
Dall’album delle foto di famiglia, dove compaiono i personaggi fondamentali della sua storia (rappresentati sulla scena da un ottimo cast tra i quali il sempre presente Toni Servillo, la comunque bella Luisa Ranieri e il bravo esordiente Filippo Scotti) si passa rapidamente al secondo livello: la città alle pendici del Vesuvio in pieno delirio calcistico, in attesa dell’arrivo del campione argentino. È una città benestante, colta, ricca e preziosa, superstiziosa e maliziosa, aristocratica e borghese quanto appena impennellata di un tratto romantico dipinto con la figura del contrabbandiere di sigarette che sogna un motoscafo offshore che fa “sciuff ..sciuff..” e va a fare una gita notturna a Capri, sulla famosa piazzetta. Tutto ben lontano dai “quartieri” e dalla periferia e ben vicino alla riviera di Chiaia, alla collina di Posillipo o al Vomero, dove Sorrentino è nato.
I tre piani del racconto si mescolano continuamente e fioriscono le suggestioni e i riferimento del Pantheon del regista: le impronte della sua cultura cinematografica “felliniana” sono subito evidenti con la prima inquadratura del grande lampadario rovinato in terra, poi gli spezzoni di vita familiare alla “maniera” della commedia napoletana con il pranzo nella villa di famiglia e il bagno a mare con il bel gozzo sorrentino mentre in sottofondo si avverte il clamore dello Stadio San Paolo (ora Maradona) e infine il riferimento diretto al Maestro che deve “scendere a Napoli” per selezionare comparse (una splendida galleria di personaggi). Tutto scorre in un turbine di avvenenza non sempre struggente e che non sempre rende giustizia alla bellezza di Napoli come invece il regista ha fatto con il suo film su Roma. I dialoghi, il testo, la sceneggiatura raramente meritano di prendere appunti e appaiono più come una semplice didascalia che sorregge i personaggi che non elementi distintivi e caratteristici del film. Non a caso la pellicola si chiude con il citato dialogo con il regista Capuano che lo incita a proporre una storia e Sorrentino racconta quello che può e che forse deve: il suo passato, la sua città e la sua professione. Di più non può e forse non vuole.
Veniamo ora al “film oltre il film” e proponiamo alcune considerazioni. Anzitutto una che riguarda lo stato di salute del cinema italiano. In questo squarcio di stagione abbiamo già visto tre grandi protagonisti come Nanni Moretti, Carlo Verdone e ora Paolo Sorrentino, cimentarsi con le proprie autobiografie. Si può sempre dire che va tutto bene: è pur sempre un “genere” interessante ma forse il grande spettacolo cinematografico richiede e merita qualcosa di più, qualcosa che potrebbe essere anche invenzione, creazione, fantasia o ricerca di nuovi linguaggi, regole espressive e quant’altro, invece è sempre costretto a guardare indietro, a lustrare l’argenteria di famiglia che, per quanto preziosa, è pur sempre impolverata e rinchiusa nei cassetti.
Lo abbiamo già scritto altre volte: si tratta dell’eterna tentazione di ammirare il proprio ombelico, di crogiolarsi con il proprio passato glorioso e vetusto. Quando invece il cinema italiano prova a cimentarsi con un genere convenzionale quanto di sicuro successo come il thriller (ovvero finto tale come il recente 3/19 di Silvio Soldini) s’impantana in una storia senza capo né coda. Eppure, e questa una successiva considerazione importante, mai come in questo momento si confronta sulla scena internazionale non sul terreno del successo nelle sale, con il pubblico che paga il biglietto, ma in quello della grande distribuzione globale sulle piattaforme di streaming, di Netflix in particolare dove E’ stata la mano di Dio sarà distribuito a partire dal 15 dicembre. Sapete qual è il film italiano non in lingua inglese più visto al mondo distribuito dalla piattaforma web? Yara, con la regia di Marco Tullio Giordana, la cronistoria della drammatica vicenda della ragazza di Bergamo uccisa nel 2010. Parliamo di una “platea” di decine di milioni di persone nel mondo. Si tratta di un tema che merita un approfondimento.
Infine, merita osservare che proprio in questi giorni su una piattaforma concorrente, Sky, è partita l’ultima serie di Gomorra, altro grande successo televisivo e cinematografico “globale”. Si racconta un’altra Napoli, con altri personaggi, altre fotografie, altre storie, altro cinema. Comunque, questo film di Sorrentino è candidato all’Oscar e certamente merita il costo del biglietto.