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E’ Napoli la vera vittima dello scandaloso rifiuto di De Magistris di dimettersi dopo la condanna

Le scomposte reazioni del sindaco di Napoli Luigi De Magistris ad una condanna in primo grado ad un anno e tre mesi per la disinvolta e inappropriata conduzione dell’inchesta why not e la sua ostinazione a non dimettersi nonostante la legge Severino preveda in questo caso la sua sospensione dalla carica, sono la dimostrazione dell’assoluta inadeguatezza dell’ex magistrato ad adempiere con dignità e capacità il mandato affidatogli nelle utlime amministrative dai cittadini napoletani.

Il fatto che abbia reagito contro i magistrati alla maniera di Berlusconi non assolve certo i comportamenti dell’ex presidente del Consiglio e i suoi attacchi alla magistratura. Se mai dimostra che non tutti i Berlusconi vengono da Arcore. Al tempo stesso le gravi irregolarità dell’inchiesta De Magistris Genchi non trasformano automaticamente Clemente Mastella in una sorta di Maria Goretti della politica. Anche se quella inchiesta diede il colpo di grazia al governo Prodi e alla ormai improbabile maggioranza che lo sostenenva.

Se poi tutto questo significherà la fine della stagione del giustizialismo (ammesso che si sia trattato di una stagione) è presto per dirlo. Ci si potrebbe accontentare (per ora) del fatto che le storie di questi giorni evidenziano che è sempre meglio avere una certa attenta prudenza prima di gridare “Al ladro al ladro!”. O peggio: “E’ il ladro è il ladro”. Anche se i ladri sono molti, a volta si può sbagliare.

C’è poi la vera vittima dell’inadeguatezza di De Magistris e non soltanto di De Magistris. E’ la città di Napoli. Come in gran parte del Paese, ma certamente in misura molto maggiore a Napoli la politica sta male. I partiti o quel che ne resta sono a pezzi, e la società civile non sta molto meglio. Le cose stavano così prima che l’ex magistrato divenisse sindaco. Anche se fu il discredito dei partiti (un pdl che si divideva tra Nick l’americano e Gigino la Polpetta, un Pd che non riuscì a svolgere primarie regolari e si affidò alla fine ad un bravo prefetto con il risultato di una presenza appena simbolica
nel Consiglio comunale) ad aprirgli la strada per palazzo San Giacomo.

Ma ora le cose stanno ancora peggio ora,all’indomani della condanna del sindaco e alla vigilia di una pressochè inevitabile campagna elettorale. A proposito di De Magistris e del Pd va fatta un’altra riflessione. Lui divenne sindaco con il sostegno di larghissima parte della sinistra. Persino Umberto Ranieri – irregolarmente battuto alle primarie per le irregolarità numerosissime, responsabilità in gran parte degli epigoni del bassolinismo, ma anche di chi quelle irregolarità non volle sanzionare – invitò pubblicamente a votare per l’ex magistrato, cogliendo la grande richiesta di cambiamento che veniva dalla città. Lo criticò in quell’occasione il solo Macaluso che di Ranieri era più che amico. La sua tesi era in soldoni: vista la destra che c’è a Napoli, il voto per De Magistris ci può stare, ma nulla di più. Nessuna apertura di credito preventiva. Aveva ragione Macaluso. Aveva torto chi scrive che in quell’occasione, con una lettera al “Riformista” si schierò con Ranieri.

La domanda è ora: ci sono le condizioni o anche soltanto le speranze che Napoli possa tornare ad avere una società civile e delle rappresentanze politiche all’altezza della situazione? Io credo che il pessimismo non soltanto sia doveroso e soprattutto realistico. A destra si assiste allo spappolamento di quel che resta di Forza Italia con tutti impegnati in guerre per bande. Nel Pd, le cose non vanno meglio.  Le correnti sono soltanto una scusa o meglio uno scudo per
piccoli gruppi di potere che ora si dichiarano renziani, ora anti-renziani, a seconda delle convenienze dell’immediato E fa sentire la sua voce anche Bassolino per ammonire che se si vuole vincere, lui deve essere coinvolto.

 Insomma la Napoli politica del dopo De Magistris non ricorda neanche da lontano i partiti e le persone che seppero  alla fine degli anni 50 prima opporsi a Lauro e al laurismo e poi costruire un’alternativa. Nella Dc c’era Paolo Barbi, c’era  Alberto Serviddio, c’erano i giovani della sinistra interna; nel Psi c’erano galantuomini come Lelio Porzio, Pietro Lezzi Sandro Petriccione, nel Pci anche al netto di Alicata e Napolitano c’erano i Fermariello (che interpretò il consigliere De Vita nel film di Rosi “le mani della città”), gli Alinovi, i Geremicca, nei repubblicani c’erano Mario Del Vecchio e Giuseppe Galasso. Tra i liberali la lezione di Guido Cortese aveva lasciato il segno. E poi c’era la società civile che non era alternativa ai partiti, ma con essi si integrava e faceva da stimolo e propulsore. Oggi la cultura politica è rappresentata da pochissimi. Mi vengono in mente Gerardo Marotta e Aldo Loris Rossi. Hanno (credo) superato entrambi almeno gli 80 anni. Ma in questa sciagurata città se c’è qualcosa da rottamare non è il passato, è il presente. Si rischia di dover dire lo stesso anche per il futuro. Io spero di aver torto, ma non credo.

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