Premesso che fumare fa male e che nel mondo almeno un miliardo di persone non rinunciano al vizio della sigaretta, il tema nella comunità scientifica e tra le major che commercializzano tabacco e prodotti alternativi è: come è possibile ridurre i danni da fumo? Larga parte della scienza è da anni convinta che le sigarette elettroniche, nonostante i dubbi iniziali, siano un buon compromesso, e con esse i dispositivi a tabacco riscaldato (heat but not burn), come Iqos di Philip Morris per citarne uno che viene prodotto e sperimentato da tempo in Italia. Se ne è ancora parlato in occasione del panel sul futuro del fumo in Europa, presieduto da Dimitri Richter, capo del reparto di cardiologia dell’ospedale Euroclinic di Atene, nell’ambito dello Scientific Summit on Tobacco Harm Reduction.
Dalla discussione è emerso che le evidenze scientifiche si scontrano purtroppo con il Piano contro il cancro presentato dalla Commissione lo scorso febbraio, che ha suscitato reazioni avverse tra gli esperti del settore, che hanno considerato come un’equiparazione dei dispositivi di nuova generazione, come le sigarette elettroniche e il tabacco riscaldato, con le classiche sigarette finisca inevitabilmente per avvantaggiare proprio il fumo convenzionale. Per Richter, l’assenza di un vero e proprio ente regolatore sul tema, sull’esempio della Fda statunitense, complica le cose, cosi come il fatto che nel Piano europeo contro il cancro non sia inserita un’analisi sulla riduzione del danno. Un aspetto quest’ultimo, che è stato sviluppato da Paesi singoli, come la Svezia, ma sul quale manca uno sguardo europeo comune.
“Eppure non esistono più dubbi: e-cig oltre 95% meno dannose delle sigarette”, sostiene Giovanni Li Volti, direttore Coehar, il Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo di Catania. “Chi non riesce a smettere di fumare non deve essere abbandonato dalle politiche sanitarie e laddove c’è un ripetuto fallimento l’uso di dispositivi alternativi meno nocivi avrà un effetto positivo per molti fumatori”. “L’evidenza scientifica – prosegue Li Volti – è attualmente abbastanza forte da sostenere che esistono prodotti alternativi al fumo meno dannosi rispetto alla sigaretta tradizionale, per questo riteniamo queste evidenze sulla riduzione del danno dovrebbero essere adottate come politiche complementari a quelle su controllo del tabacco”.
“La difficoltà principale negli studi sui prodotti a rischio ridotto proviene dalle innumerevoli variabili che entrano in gioco quando si cerca di quantificare scientificamente la citotossicità e gli effetti dell’esposizione del vapore prodotto dalle sigarette elettroniche nei polmoni”, ha osservato nel suo intervento Massimo Caruso, ricercatore in Biochimica del Cohear co-project leader di ‘Replica’. “Sebbene le difficoltà di laboratorio siano tante, al Coehar abbiamo dimostrato, con due studi già pubblicati su questo tema, che per i fumatori il passaggio alle e-cig riesce a ridurre i danni anche sullo stato di salute polmonare”.
Nella lotta alla dipendenza dalle sigarette c’è già un modello di politiche di intervento e prevenzione che ha tracciato una strada in Europa, ottenendo anche risultati importanti nel ridurre, negli anni, i consumi a livello nazionale (soprattutto tra i giovani): è il modello applicato nel Regno Unito: “L’approccio inglese alla riduzione del danno si basa anche sull’uso compassionevole dei dispositivi elettronici, alternativi alla sigaretta tradizionale, ed è una strategia addizionale e complementare alle tradizionali terapie sostitutive con la nicotina. E’ un approccio pragmatico basato però sulle evidenze scientifiche. Le e-cig possono aiutare i fumatori a smettere di fumare più delle terapie sostitutive a base di nicotina, come gomme e cerotti, e più del supporto comportamentale o di nessun supporto. Occorre concentrarsi di più sulla riduzione del danno e non sull’astinenza per poter aumentare la quota di persone che smettono di essere dipendenti dal fumo”.
Il Regno Unito si è posto come obiettivo di arrivare entro il 2030 ad una riduzione quasi completa (solo una prevalenza intorno al 5% o meno) della presenza del fumo nella società grazie al programma ‘Smokefree 2030’, ma anche Svezia e Norvegia stanno ottenendo risultati incoraggianti.