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E-book goWare: “Les Misérables, l’imprenditoria in Europa”, ecco perché da noi Google non nasce

I COLOSSI STANNO INVECCHIANDO

I dati ci mostrano che l’Europa continentale ha difficoltà a creare nuovi business destinati a crescere. Secondo il Global Entrepreneurship Monitor, che fornisce dati comparabili tra i Paesi, nel 2010 i neoimprenditori (TEA) erano solo il 2,3% della popolazione adulta italiana, il 5,6% di quella tedesca e il 5,8% di quella francese. Nelle città europee la percentuale è più bassa – in molti casi molto più bassa – che in quelle americane (12,3%) o turche (11,9%), per non parlare di quelle brasiliane (14,9%) e cinesi (24%).

Gli imprenditori europei non solo scarseggiano, ma sono anche pessimisti riguardo alle loro prospettive. Uno studio dell’anno scorso di Ernst & Young, una multinazionale di servizi professionali alle imprese, ha rivelato che gli imprenditori tedeschi, italiani e francesi vedevano molto meno il loro Paese come un luogo dove creare start-up di quelli americani, canadesi o brasiliani. Pochissimi imprenditori francesi hanno dichiarato che il loro Paese gli fornisce l’ambiente migliore; il 60% dei brasiliani, il 42% dei giapponesi e il 70% dei canadesi pensa che non ci sia posto migliore della loro patria. Alla domanda su quali città hanno la migliore probabilità di produrre i nuovi Google e Microsoft, gli uomini d’affari hanno indicato Shanghai, San Francisco e Mumbai (anche se, a essere onesti, pure Londra è stata nominata).

Tuttavia, l’Europa sforna moltissimi negozietti, parrucchieri e così via. Quello che non produce abbastanza sono imprese innovative che crescono rapidamente fino a diventare grandi. Nel 2003, analizzando il gap imprenditoriale dell’Europa, la Commissione europea ha citato uno studio che mostrava come, durante gli anni Novanta, il 19% delle medie imprese americane fossero classificate come “in forte crescita”, rispetto a una media di appena il 4% in sei Paesi dell’Unione Europea. La Kauffman Foundation – che promuove l’iniziativa imprenditoriale in tutto il mondo – sostiene, in modo convincente, che una delle ragioni per cui l’America ha superato l’Europa nella creazione di opportunità lavorative è la sua abilità nel produrre imprese nuove e in rapida crescita, come Amazon, un rivenditore online, o eBay, un sito di aste. E, in termini di posti di lavoro, le piccole imprese nuove hanno un vantaggio ulteriore rispetto ai giganti già presenti sul mercato: è meno probabile che esternalizzino molte attività a fornitori asiatici a basso costo.

Secondo un’analisi sulle 500 imprese quotate in borsa più grandi del mondo, condotta da Nicòlas Véron e Thomas Philippon del think-tank Bruegel, l’Europa ha dato vita a solo 12 nuove grandi imprese tra il 1950 e il 2007; l’America, nello stesso periodo, ne ha prodotte 52. Tra il 1975 e il 2007 in Europa sono nate solo tre nuove grandi imprese; di queste, due sono nate in Gran Bretagna o Irlanda che, rispetto all’Europa continentale, hanno un atteggiamento verso l’imprenditoria più simile all’America. Anche la maggior parte delle grandi imprese europee a proprietà privata sono nate prima del 1950, spesso anche molto prima.
“Perché Google non è nata in Germania?” si è chiesto Konrad Hilbers, ex ceo di Napster, un servizio di musica online, in una conferenza dello scorso anno. La mancanza di una cultura imprenditoriale orientata al rischio era la risposta. Imprese come Skype, un servizio di messaggistica istantanea e telefonia online fondata da un danese e da uno svedese, e Wonga, un servizio di prestiti personali online dipingono uno scenario meno fosco di quanto sembrerebbe. Ma gli imprenditori europei sono ancora sottorappresentati in Internet. “Sebbene ci siano dei segni di vita – dice Yossi Vardi un imprenditore israeliano con grande esperienza e angel investor – la regione è ancora mezzo addormentata”.

TROPPO POCHE VIRGIN, NON ABBASTANZA RED BULL

L’Europa vanta storie imprenditoriali di successo. In Spagna Amancio Ortega che avviò un negozio di abbigliamento all’età di 13 anni per poi proseguire fondando Inditex che con la catena di negozi Zara è un vero e proprio impero della moda “usa e getta”. In Austria è stato Dietrich Mateschitz che ha lanciato la Red Bull, un produttore di bevande energetiche. In Francia c’è Xavier Niel, che quest’anno ha dato il via a una rivoluzione nella telefonia mobile offrendo apparecchi a bassissimo costo. L’Inghilterra ha Richard Branson, fondatore di Virgin. Ma la lista è ancora corta. Molti imprenditori europei – Sir Richard escluso – non ostentano il loro successo. Il signor Ortega non ha mai rilasciato un’intervista ai media; ci sono solo due foto pubblicate. Ingvar Kamprad, il milionario fondatore di Ikea, la multinazionale svedese del mobile in serie, evita assiduamente qualsiasi atteggiamento plutocratico.

Molti imprenditori ispirati semplicemente emigrano. Ci sono circa 50.000 tedeschi in Silicon Valley e 500 start-up nella Baia di San Francisco con fondatori francesi. Una delle cose che trovano là è la libertà di fallire. Se un’impresa va sotto in Francia, dice Dan Serfaty, fondatore francese di Viadeo un business social networking, in grande crescita, non c’è una seconda possibilità.
Cercando di scoprire che cosa ostacola gli imprenditori, la Commissione lo scorso anno ha esaminato i casi d’insolvenza e scoperto che molti Paesi trattano imprenditori onesti ma insolventi alla stessa stregua dei truffatori, sebbene solo una minuscola frazione di fallimenti avvenga con frode. La Gran Bretagna riabilita dal fallimento dopo un anno; in America ancora prima. In Germania si può attendere fino a 6 anni per ricominciare un’attività, secondo la commissione; in Francia ci vogliono nove anni. In Germania la bancarotta è una condanna a vita per una carriera direttiva nelle grandi società.

Un secondo ostacolo importante è la finanza. Raccogliere fino a un milione di euro (1,2 milioni di dollari) come capitale di avviamento tra “soci, conoscenti e familiari” è abbastanza facile. Ma per arrivare ai 1,5-4 milioni di euro di cui le imprese hanno bisogno per svilupparsi, e mancano drammaticamente i quattrini. In totale il denaro investito in capitale di rischio europeo si è dimezzato, passando da 8,2 miliardi di euro del 2007 a 4,1 dell’anno scorso secondo l’Associazione europea del Private Equity e del Venture Capital. Gran parte di questo denaro proviene ora dai governi, piuttosto che da investitori privati.

Nella terza fase del finanziamento, quando le imprese cercano di raccogliere fino a 20 milioni di euro, o giù di lì, per incrementare quella che sembra essere un’attività di successo, il denaro americano è sempre disponibile; anche da quando dipendono dai grandi successi per compensare le decine di fallimenti passati, i fondi americani sono disposti a inseguire gli imprenditori fino “a casa” loro, perché è lì che queste cose accadono, o in economie emergenti dalla crescita esponenziale. Comunque, la maggior parte degli imprenditori europei sono andati a sbattere contro un muro di gomma molto prima di arrivare alla fase dei 20 milioni.

Il terzo grande ostacolo è il diritto del lavoro. Per sopravvivere a errori fatali o a una domanda fluttuante, le giovani imprese, in caso di necessità, devono poter ridurre i costi del personale in modo rapido ed economico. Questo è molto più difficile nei Paesi europei che altrove. La complessità e il costo dei licenziamenti in Europa è una grande preoccupazione per il capitale di rischio americano, dice Georges Karam, amministratore delegato di Sequans Communications, produttrice francese di chip per smartphone che si è quotata l’anno scorso alla Borsa di New York. I costi delle sostanziose indennità possono essere un carico enorme per una piccola azienda. Le buonuscite generose rendono anche molto più difficile per le start-up reclutare manager professionisti in grado di “giocare in serie A”. I dirigenti più esperti sono riluttanti a rinunciare a tali rassicuranti emolumenti in caso di dimissioni.

I fondatori di imprese europee hanno difficoltà a maneggiare gli strumenti principali dell’imprenditore: le stock option e le azioni gratuite che rendono le start-up attraenti per i dipendenti. La complessità giuridica di dare ai nuovi assunti azioni gratuite è proibitiva, dice un imprenditore che sta cercando di portar via qualcuno da Google, e che distribuisce regolarmente stock option. Tutti consigliano di non farlo, dice. Questo limita ulteriormente la possibilità degli imprenditori di attrarre manager verso un cambio di carriera in cui il rischio è superiore.

Con tali e tante avversità, i guizzi imprenditoriali visti a Berlino, Londra, Helsinki e in pochi altri posti ci danno qualche motivo di speranza. Se questi “spiriti selvaggi” riescono a sopravvivere in queste condizioni, come potrebbero prosperare se non avessero tutto e tutti contro?

VOGLIAMO ESSERE LIBERI

Anche se la domanda è caduta e i finanziamenti sono sempre più difficili, la grande recessione e la crisi dell’euro possono anche segnare un cambiamento a lungo termine nella percezione del rischio degli europei. Quando le grandi aziende riducono il personale, per i dirigenti andare a lavorare in una start-up non è più azzardo. Da quando la crisi è iniziata, nel 2007, afferma Martin Varsavsky, un imprenditore “seriale” argentino fondatore di un certo numero di aziende di telecomunicazioni in Spagna, è stato notevolmente più facile per la sua impresa, Fon, una comunità Wi-Fi globale, reclutare personale. Prima della crisi gli ingegneri lo snobbavano preferendogli Telefónica, il gigante della telefonia, o Prisa, un conglomerato dei media; ora che quelle grandi imprese stanno licenziando, il personale qualificato è più disposto a lavorare in una società più piccola.

I soggetti che cercano di stimolare l’imprenditoria non sono abbastanza forti per affrontare i problemi reali degli imprenditori, come la normativa del lavoro. Anche in questo caso, la profonda crisi dell’euro può rendere possibile un cambiamento prima impensabile. Mario Monti, primo ministro italiano, dice che abbasserà il costo di costituzione di una società da 10.000 a 1 euro. Italia e Spagna stanno entrambi prendendo provvedimenti per rendere un po’ più facili i licenziamenti.

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