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Duello Tria-Di Maio sul deficit pubblico

FIRSTonline

Mancano circa 24 ore all’approvazione della nota di aggiornamento del DEF e lo scontro tra Luigi Di Maio e Giovanni Tria sta raggiungendo toni che in altri tempi sarebbero stati più che sufficienti per provocare una crisi di Governo. Il leader pentastellato  preme per portare il deficit del bilancio dello Stato il più vicino possibile alla soglia del 3% in modo da poter varare reddito e pensioni di cittadinanza oltre alla revisione della Fornero ed alla riduzione delle tasse. I grillini minacciano direttamente gli alti funzionari del Tesoro che a loro parere metterebbero i bastoni tra le ruote alle loro proposte. Ma è chiaro che l’obiettivo vero di queste minacce è lo stesso ministro Tria che come si ricorderà era stato indicato dal Quirinale proprio con il compito di vigilare sulla tenuta del conti.

Imperturbabile nel fuoco delle polemiche il responsabile del Tesoro,Giovanni Tria, ha risposto per le rime affermando che come ministro ha giurato di difendere “l’interesse della nazione” e non quello politico di un singolo partito. Poi con pazienza ha cercato di spiegare per l’ennesima volta ai leaders dei due partiti di governo che allargare troppo il deficit non porta una maggiore crescita dell’economia e che anzi l’aumento degli interessi sui debiti vecchi e nuovi rischierebbe di bruciare una parte rilevante delle risorse trovate con l’aumento del deficit con effetti deprimenti sulla crescita. Inoltre ha aggiunto Tria tutto questo scomposto vociare rischia solo di aumentare l’incertezza e questo induce comportamenti di maggiore prudenza sia negli investitori che nei consumatori. Insomma senza mantenere un sano equilibrio nei conti pubblici e cercare di confermare la rotta di lenta riduzione del debito, si rischia di non portare benefici ai cittadini, ma anzi di bloccare del tutto la sia pur modesta crescita del PIL e quindi ridurre le possibilità occupazionali.

E’ ben chiaro che lo scontro non è tanto su uno o due decimali in più di deficit, ma è proprio sull’impostazione da dare al bilancio e quindi su quale ruolo può giocare la spesa pubblica per sostenere la crescita. Di Maio, orecchiando quanto qualche sedicente esperto di economia del suo staff va dicendo, pensa che l’aumento della spesa porta sicuramente ad un aumento del PIL in misura più che proporzionale alla spesa stessa così da poter rientrare nell’arco di un paio d’anni dal maggior deficit. Ma un rapporto del genere non si è mai verificato in passato e comunque la spinta alla crescita dipende non solo dall’ammontare della spesa ma anche dalla sua qualità. Gli investimenti, se ben scelti, hanno sicuramente un effetto maggiore del sostegno ai redditi ed alle pensioni. Per questo Tria, fin dalla sua prima apparizione in Parlamento ha sostenuto la necessità di puntare sugli investimenti spalmando nell’arco dell’intera legislatura le misure di sostegno ai cittadini come il reddito di cittadinanza o la flat tax. Ed anche ieri, martedì, ha ribadito che sul fronte fiscale ci potrà essere un avvio di riduzione delle tasse privilegiando le imprese piccole e medie, mentre il sostegno alla povertà e le altre misure sociali sono da intendersi più come un necessario ammortizzatore per facilitare la ristrutturazione dell’apparato produttivo alleviando l’inevitabile disagio sociale, che come come un sussidio elargito a tutti gli italiani per un tempo indefinito.

Nonostante le resistenze lo stesso Tria si rende conto che con il rallentamento della congiuntura bisogna osare un po’ di più dal lato del bilancio pubblico. Ed infatti la manovra in corso di preparazione portando il deficit all’1,9% rappresenterebbe già una netta inversione di tendenza rispetto al percorso di rientro concordato con Bruxelles che per il 2019 prevedeva un deficit allo 0,8%.  Saliremmo quindi di oltre un punto con effetti sul deficit strutturale (parametro difficile da calcolare) e debito non certo sicuri. Molto dipenderà dalla credibilità sui mercati di fronte al modo con il quale sarà costruita la manovra. Se lo spread ed i tassi scenderanno i conti potranno tornare, altrimenti si rischia grosso.

I nostri ritardi come abbiamo più volte sottolineato, non dipendono dalle restrizioni nella spesa pubblica,ma  dalla scarsa produttività del nostro sistema. E su questo si sta facendo poco o nulla. Viene il sospetto che Di Maio e soci siano vittime del pensiero di un “economista defunto”, come diceva Keynes senza pensare che questo giudizio si sarebbe potuto applicare anche a lui stesso.

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Categories: Politica