Le idee camminano sulle gambe degli uomini. E anche le istituzioni. Senza Mario Draghi, che ha retto la Bce in otto anni tempestosi che hanno cambiato la storia, non solo monetaria, non avremmo oggi la stessa Banca centrale europea. Anzi, non la avremmo proprio.
E non avremmo nemmeno la stessa Unione europea. Se già ora in essa le pulsioni sovraniste e le tensioni sociali lacerano il tessuto di pace e benessere, solidarietà e comprensione finemente intrecciato nei decenni post-bellici, figuriamoci come sarebbe ridotto a brandelli quel tessuto in una regione squassata dalla fine della moneta unica e senza più il mercato unico, fatto a pezzi da mega svalutazioni, ritorsioni commerciali, protezioni per le industrie domestiche, barriere e controlli doganali.
Il tribalismo sarebbe il sentimento e l’atteggiamento dominante, ben più di quanto non lo sia già oggi. Tutto questo è implicito nel merito che viene tributato a Draghi di aver salvato l’euro. Questo scenario apocalittico, che siamo stati molto vicini a realizzare, è la plastica rappresentazione dell’affermazione di James Tobin, l’economista americano premio Nobel: nulla è più politico della moneta.
È opportuno ricordarlo. Così come è bene avere chiari in mente alcuni insegnamenti che Draghi ci ha dato con parole e opere, e con quell’espressione impassibile ma ugualmente empatica che a molti ricorda il geniale Buster Keaton. Eccone tre che hanno valenza generale e implicazioni economiche particolari.
Il primo vale per i giovani soprattutto: non mollare mai. Vengono in mente i ragazzi disoccupati e quelli che non hanno un lavoro stabile o gratificante. Ma anche gli imprenditori di fronte ai primi fallimenti o agli ostacoli (che in Italia abbondano). La forza della volontà che conduce e diffonde il progresso dei singoli attori e dei sistemi economici.
Il secondo vale in specie per la politica: trasparenza e candore sono le chiavi che spalancano le porte della credibilità e del consenso. Sono indispensabili per comunicare in modo credibile, e la comunicazione è diventata la terza arma di ogni banca centrale, dopo i tassi e l’offerta di moneta (l’un con l’altra intrecciati). Occorre spiegare il come e il perché delle politiche economiche, delle riforme, dei cambiamenti, e saperlo fare bene in modo che tutti coloro che vogliono capire capiscano e traggano conforto e orientino le aspettative e in comportamenti. Trasparenza e candore finiscono per disarmare gli avversari più acerrimi.
Il terzo è rivolto alle banche, ma ha un raggio di applicazione molto più ampio: l’insieme conta più della somma delle singole parti. Per esempio: i tassi bassi o perfino negativi abbattono i margini unitari dell’intermediazione creditizia. Ma senza di essi i bilanci bancari sarebbero affondati sotto il peso dei prestiti non più onorati, perché è con il sostegno che il basso costo del denaro dà all’economia che le banche hanno risanato il conto economico e patrimoniale. E vale la pena di abituarci e imparare a convivere con i tassi bassi, perché sono destinati a durare molto a lungo: è un cambio di paradigma.
Esempi di ulteriori applicazione di questo terzo insegnamento? Nella costruzione europea: se aspettiamo di aver annullato tutti i rischi per procedere nell’integrazione, non sfruttiamo la riduzione del rischio che quella stessa maggiore integrazione comporta. Nel commercio mondiale: alzare le barriere tariffarie forse fa bene a questo o a quel settore, a questa o a quella impresa, ma alza l’incertezza su dove si andrà a parare e abbatte la voglia di investire, finendo per far male a tutti.
Draghi ha dimostrato di essere un maestro nell’arte del banchiere centrale, che richiede grandi doti politiche anche superiori a quelle tecniche. Dimostrando come un grande timoniere sappia navigare anche con la vela stracciata. Ma nell’esercitare quell’arte ha fornito lezioni per tutti. Senza dar mai l’impressione di volerne impartire a nessuno. Magister anche nel metodo.