Altro che effetto-dazi di Trump. Fra crescita anemica e minacce dei dazi Usa “le ultime settimane hanno fornito un duro promemoria sulle vulnerabilità dell’Europa” considerando “la dipendenza dalla domanda estera“. Comincia così il commento dell’ex premier italiano e presidente della Bce Mario Draghi pubblicato oggi sul Financial Times dal titolo “L’Europa ha posto con successo i dazi su se stessa“.
“L’eurozona – scrive Draghi – è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna. E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre tariffe sui loro principali partner commerciali, con l’Ue prossima nel mirino. Questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell’economia dalla domanda estera”.
Nell’Unione europea, ha avvertito ieri il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, i dazi si faranno sentire soprattutto in Italia e in Germania. Ma l’Europa deve fare mea culpa, dice Draghi
Ci vuole un cambiamento radicale
L’ex premier italiano sostiene che solo un cambiamento radicale può portare l’Ue fuori da questa situazione difficile in cui si è cacciata sostanzialmente per due motivi: “Il primo è la lunga incapacità dell’UE di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi. Il Fmi stima che le barriere interne dell’Europa equivalgano a una tariffa del 45% per la produzione e del 110% per i servizi”.
Draghi, e questo è il secondo fattore, lamenta come le normative Ue abbiano “ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche europee impedendo all’economia di liberare grandi benefici in termini di produttività”. Un esempio, sono “i costi per conformarsi al Gdpr che si stima abbiano ridotto i profitti delle piccole aziende tecnologiche europee fino al 12%” ha scritto Draghi facendo riferimento al Regolamento generale per la protezione dei dati personali, la principale la normativa europea in materia di protezione dei dati personali.
“Un uso più proattivo della politica fiscale, sotto forma di maggiori investimenti produttivi, contribuirebbe a ridurre i surplus commerciali e invierebbe un forte segnale alle aziende affinché investano di più in ricerca e sviluppo”, afferma Draghi, esortando “un cambiamento fondamentale di mentalità”: “Finora, l’Europa si è concentrata su obiettivi singoli o nazionali senza calcolarne il costo collettivo”.
L’ “incapacità di ridurre le barriere interne ha portato a “una dipendenza dell’Europa dal commercio che oggi in termini di Pil pesa il 55% nella zona euro, mentre in Cina è al 37% e negli Stati Uniti solo al 25%.
Le barriere interne sono ormai obsolete e non portano vantaggi
“La conservazione del denaro pubblico ha sostenuto l’obiettivo della sostenibilità del debito. La diffusione della regolamentazione è stata progettata “per proteggere i cittadini dai rischi delle nuove tecnologie. Le barriere interne sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l’azione. Ma ora è chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale, che è minacciata dalle pressioni dall’estero. Ecco perché è necessario un cambiamento radicale“.