“Ci sono le condizioni per alzare la liquidità delle banche greche”. Mario Draghi sceglie di riaprire la porta ad Atene ancor prima dell’Ok dell’Eurogruppo allo sblocco del prestito ponte di 7 miliardi da parte dell’Eurogruppo. “Le cose sono cambiate” ha spiegato il banchiere nella conferenza stampa seguita al direttorio della Bce: di qui l’Eurotower anticipa le altre istituzioni europee scongelando i contributi dei fondi Ela agli istituti di Atene.
Per soli 900 milioni, ma quel che conta è il gesto politico. “Per ora – è il commento – i soldi sono e saranno sufficienti: l’importante è che si proceda ad un intervento strutturale già nel breve termine”. Senza dimenticare che la banca di Francoforte risulta ora esposta sulle maggiori banche elleniche per 130 miliardi contro 120 milioni di depositi.”Le critiche sui fondi Ela – ha liquidato la questione il banchiere rispondendo alle critiche tedesche – sono infondate”.
Draghi, grande protagonista del weekend in cui prima e più di tutti ha alzato la voce contro il Grexit decretato dalla Germania, ha ribadito la sua scelta politica ed istituzionale: “Non farò commenti sulle opinioni di uomini politici. Per noi la Grecia è e resta nell’euro”. Ma, al di là “dello scambio di battute” con Wolfgang Schaeuble, resta il nodo del debito:” è fuori discussione che un alleggerimento del debito sia necessario” ha sottolineato Draghi ribadendo che sulla questione “ci concentreremo nelle prossime settimane”. Per ora tutte le indicazioni stanno a confermare che “entro il 20 luglio Bce e Fmi verranno rimborsati”.
Insomma, la settimana più lunga della Bce si è chiusa con uno straordinario successo di herr Draghi. Non solo perché il banchiere ha saputo tutelare l’autonomia della Bce in mezzo ad un duro confronto politico, ma ha potuto assistere ad un collaudo straordinariamente riuscito della politica della banca centrale europea. “La terapia funziona, nonostante i recenti avvenimenti”, ha detto Draghi. I dati gli danno ragione. Nonostante le difficoltà dei Paesi emergenti, che incidono sulla richiesta dell’export europeo, il pil della Ue continua a crescere nell’ordine dello 0,4% previsto, mentre l’inflazione, complice il nuovo calo dei prezzi petroliferi, scende dallo 0,3 allo 0,2%. Ma il livello dei prezzi, prevede Draghi, è destinato ad avvicinarsi all’obiettivo del 2% tra il 2016 ed il 2017.
Ancor più di queste stime vale la risposta dei mercati. Il Quantitative Easing ha saputo far fronte alle tensioni dei momenti più drammatici del duello su Atene. Mai l’asticella dello spread di Btp e Bonos si è avvicinato ai 300 punti base già previsti da Goldman Sachs. Pochi giorni sono stati sufficienti perché le Borse recuperassero lo shock del referendum. E l’euro, complici le attese di rialzi dei tassi Usa, si è attestato sotto quota 1,10. Insomma, dalla battaglia campale di Atene l’Europa esce con non poche ferite, visti i conflitti e i dissensi emersi nel dibattito. Ma la macchina della banca centrale, messa a punto in occasione del varo dell’Unione Bancaria e dell’avvio degli acquisti del Quantitative Easing, funziona in maniera egregia. E Draghi coglie l’occasione per indicare il prossimo traguardo: il completamento dell’Unione bancaria, compreso uno schema europeo di protezione dei depositi. E’ un passaggio chiave: il fallimento di Washington Mutual, nel 2009, non ha messo a rischio lo stato di Washington, grazie al paracadute federale (reso possibile dai fondi versati all’amministrazione centrale). Al contrario, la fuga dei depositi dalle banche greche non è stata contrastata con gli strumenti sufficienti. Ma Draghi, nonostante le difficoltà frappose dalla Germania (impegnata a far fronte ai guasti delle proprie banche), è già in movimento.