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Draghi, laurea a Bologna: “Solo con l’Europa c’è sovranità”

Imagoeconomica

Meglio una sovranità condivisa che una sovranità inesistente, ma se vuole vincere le sfide del futuro l’Unione Europea deve cambiare. Mario Draghi arriva a Bologna con un messaggio forte: la Ue è stata un successo politico ed economico, ma dopo dieci anni critici Bruxelles deve trovare il coraggio di evolversi. “L’Unione europea ha voluto creare un sovrano dove non ne esisteva uno”, dice, ma le sfide esterne alla sua esistenza sono “sempre più minacciose”. Per fronteggiarle bisogna recuperare unità di visione e di azione, “non è solo un auspicio, ma un’aspirazione fondata sulla convenienza politica ed economica”. Per un discorso di respiro politico il presidente della Bce, a meno di un anno dalla fine del suo mandato, sceglie l’Aula Magna di Santa Lucia, dove l’Alma Mater gli conferisce la laurea ad honorem in Giurisprudenza. “L’Unione europea – spiega – è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani. È una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente. È una sovranità complementare a quella esercitata dai singoli Stati nazionali in altre aree. È una sovranità che piace agli Europei”. Fuori di essa, c’è solo una mal intesa indipendenza. Il presidente non la cita, ma il pensiero va inevitabilmente alla Brexit.

La platea lo accoglie con un’ovazione, è la rock star del mondo accademico e nelle prime file ad applaudirlo ci sono, fra gli altri, Romano Prodi, Augusto Barbera, Angelo Tantazzi, Filippo Cavazzuti. “Tanti amici di una vita, io sorrido loro e loro mi sorridono”. Mentre parla uno sparuto gruppo di manifestanti protesta contro le istituzioni di Bruxelles e Francoforte lungo le strade del centro cittadino. Eppure Draghi pensa anche a loro: “Bisogna rispondere alla percezione che” l’Unione europea “manchi di equità: tra paesi e classi sociali. Occorre sentire, prima di tutto, poi agire e spiegare. Quindi, unità, equità e soprattutto un metodo di far politica in Europa”. Gli ultimi dieci anni ”hanno messo drammaticamente in luce carenze delle politiche nazionali e necessità di evoluzione nella cooperazione all’interno dell’Unione e al suo esterno”.

Draghi mette in guardia dai vari movimenti populisti, ma anche dalle resistenza trasversali al cambiamento. Bisogna temere il risorgere di “idee per cui la prosperità degli uni non può essere raggiunta senza la miseria di altri; organizzazioni internazionali o sovranazionali perdono di interesse come luoghi di negoziato e di indirizzo per soluzioni di compromesso; l’affermazione dell’io, dell’identità, diviene il primo requisito di ogni politica. In questo mondo la libertà e la pace divengono accessori dispensabili all’occorrenza. Ma se si vuole che questi valori restino essenziali, fondanti, la strada è un’altra: adattare le istituzioni esistenti al cambiamento. Un adattamento a cui si è finora opposta resistenza perché le inevitabili difficoltà politiche nazionali sembravano sempre superiori alla sua necessità”. Questo “ha generato incertezza sulle capacità delle istituzioni di rispondere agli eventi e ha nutrito la voce di coloro che queste istituzioni vogliono abbattere. Non ci devono essere equivoci: questo adattamento dovrà essere profondo, quanto lo sono i fenomeni che hanno rivelato la fragilità dell’ordine esistente e vasto quanto lo sono le dimensioni di un ordine geopolitico che va cambiando in senso non favorevole all’Europa”.

I cittadini europei hanno molta più fiducia nei benefici economici dell’area (il 75% è a favore dell’euro e dell’unione monetaria e il 71% è a favore della politica commerciale comune), che nelle istituzioni (42%; meglio però dell’apprezzamento riservato ai parlamenti nazionali, 32%). I numeri dimostrano che insieme la Ue conta di più: è il 16,5% del pil mondiale (seconda solo alla Cina); il 15% degli scambi mondiali (contro l’11% negli USA); è il più importante partner commerciale di 80 paesi (gli Usa lo sono di 20). Con il suo peso tutela lavoro, prodotti, consumatori e argina il rischio che la globalizzazione sia solo una corsa al ribasso. Per marciare uniti però bisogna cooperare e questo è difficile da fare per chi governa e da spiegare a chi è governato.

“Nella sua storia – ricorda Draghi – l’Unione europea ha seguito due metodi di cooperazione. In taluni casi, sono state create istituzioni comunitarie a cui è stato conferito un potere esecutivo, come ad esempio, nel caso della Commissione per ciò che riguarda le politiche commerciali o la Bce per la politica monetaria. In altri casi, quali la politica di bilancio o le riforme strutturali, sono i governi nazionali a detenere il potere esecutivo, legati tra loro da regole comuni. Occorre però chiedersi quale successo abbia avuto questa scelta. Nei casi in cui il potere esecutivo è stato conferito a istituzioni comunitarie, il risultato è stato positivo. Invece, nelle aree di cooperazione basate su regole comuni, il giudizio è meno positivo”.

Perché le cose fatte in un modo sono andate meglio che nell’altro? Perché le istituzioni “dispongono di flessibilità nel perseguimento dei loro obiettivi”, mentre “le regole non possono essere modificate rapidamente di fronte a circostanze inattese”. Quindi sarebbe ora di cambiare, ma per farlo ci vuole serietà e mediazione. “Il passaggio dalle regole alla costruzione di un’istituzione richiede fiducia tra i paesi, fondata da un lato sull’osservanza rigorosa delle regole esistenti, dall’altro sulla capacità dei governi di raggiungere compromessi soddisfacenti, quando le circostanze richiedono flessibilità”. Poi bisogna saper spiegare quanto si sta facendo ai propri cittadini. In sostanza c’è bisogno di Politica, proprio quella con la P maiuscola.

Forse per questo, per dare alle sue parole un valore ancora più alto, Draghi si affida, per concludere, a un discorso di Benedetto XVI di 38 anni fa: “Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale… Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole… Non è morale il moralismo dell’avventura… Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.

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Categories: Politica