Mario Draghi non parla mai per caso. La sua lunga intervista di ieri al Corriere della Sera non è pura accademia e nemmeno semplice orgoglio per i risultati oltre le attese raggiunti dal suo Governo. Insieme alle parole di stima personale per la nuova Premier, Giorgia Meloni (“leader abile e con forte mandato elettorale”), le parole – e ancora di più i numeri – dell’italiano più stimato al mondo sono una sottile sfida al centrodestra con la premessa che lui, vero civil servant, non è interessato “a incarichi politici o istituzionali, nè in Italia nè all’estero”. Però come sarebbe bello vederlo alla guida dell’Europa e chissà che, in uno dei momenti più difficili del Vecchio continente, il futuro non riservi qualche sorpresa.
DRAGHI E I DUE MESSAGGI AL CENTRODESTRA: SUL PIANO ECONOMICO E SOCIALE E SULL’EUROPA
I messaggi che, con il suo impareggiabile stile, SuperMario manda non tanto alla Meloni ma a tutto il centrodestra sono due. Il primo parte dai risultati raggiunti dal suo Governo, sia sul piano economico che su quello, troppo spesso sottovalutato, sociale. Quelli economici sono sotto gli occhi di tutti e ci faranno rimpiangere a lungo il biennio 2021-2, nel quale – non dimentichiamocelo – hanno infuriato prima la pandemia e poi la guerra, che dopo oltre 70 anni, torna ad affacciarsi sull’uscio di casa. Sul piano economico il Governo Draghi mette la firma a una crescita del Pil in due anni del 10%, roba da miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta: +6,7% l’anno scorso e quasi il 4% quest’anno. Il che vuol dire, conti alla mano, che l’Italia ha fatto meglio della Francia e della Germania. E che, oltre a crescere di più, ha anche ridotto il debito pubblico “come mai nel dopoguerra” ed è “l’unico grande Paese europeo che, negli ultimi anni, è riuscito ad aumentare le proprie quote di mercato nell’export internazionale”
DRAGHI: L’ITALIA E’ CRESCIUTA DI PIU’ DI FRANCIA E GERMANIA MA E’ MIGLIORATA ANCHE SUL PIANO SOCIALE
Di fronte agli innegabili successi economici del Governo Draghi, di solito il populismo di destra e di sinistra (Salvini e Conte in testa) si arrampica letteralmente sugli specchi e pretende di mettere sotto accusa la politica di SuperMario sul piano sociale. Diseguaglianze, povertà, disoccupazione: è la parte meno conosciuta dell’azione di Draghi ed è un peccato che sia così la realtà parla chiaro. “I numeri dell’Istat – ricorda l’ex Premier nell’intervista al Corriere – ci dicono che quest’anno le nostre politiche sulle famiglie hanno ridotto la disuguaglianza – misurata dall’indice di Gini – dal 30,4% al 29,6% e il rischio di povertà dal 18,6% al 16,8%.”. Quanto alla disoccupazione, all’inizio del 2021 era del 10,2% e all’inizio di ottobre di quest’anno è scesa al 7,8% mentre “il tasso di occupazione ha raggiunto il 60,5%, un record storico e un dato molto importante perchè la fonte maggiore di diseguaglianza è la disoccupazione”. “Questi – conclude Draghi – sono i risultati dell’agenda sociale ed economica del Governo che ho avuto l’onore di presiedere”. Insomma “l’Italia ha dimostrato di farcela ma serve coesione e dialogo”.
Qual è allora la sottile sfida che Draghi, facendo parlare i numeri, lancia a chi lo ha fatto improvvidamente cadere e a chi gli è succeduto? E’ molto chiaro: quei numeri, i numeri dell’indiscutibile successo economico e sociale del Governo Draghi, sono pietre e sono un inevitabile terreno di confronto con il nuovo Governo di centrodestra. La Meloni, che non è affatto sciocca, lo sa e l’altra sera, in un momento di sincerità nel salotto di Vespa, ha detto: “Non mi spaventano le sfide, l’unica cosa che mi spaventa è deludere”. Ma allora la domanda è: se il centrodestra non riuscirà, al netto degli effetti congiunturali, a replicare il successo dell’agenda Draghi, a che è servito il terremoto politico che ha portato alle elezioni del 25 settembre? Dovrebbero chiederselo tutte le forze politiche e tutti gli elettori ma anche i mezzi di informazione che, spiace dirlo, nella loro diffusa incapacità di leggere la realtà dell’Italia senza lenti deformanti sono parte della crisi di fiducia e di credibilità che spesso attraversa il nostro Paese.
MARIO DRAGHI E GIORGIA MELONI: OCCHIO ALL’EUROPA
Il secondo chiarissimo messaggio che emerge dall’intervista di Draghi è sull’Italia e sull’Europa. SuperMario, in piena sintonia con il Presidente Sergio Mattarella, l’aveva già ricordato alla Meloni durante il passaggio di consegne a Palazzo Chigi: “Attenta, Giorgia, perchè se ti isoli in Europa, l’Italia diventa irrilevante”. Ora Draghi torna a battere sullo stesso chiodo: “Occorre stare attenti a che non si crei di nuovo un clima internazionale negativo nei confronti dell’Italia. Mantenere saldo l’ancoraggio all’Europa è il modo migliore per moltiplicare il nostro peso internazionale”. Malgrado gli iniziali sbandamenti sui migranti e le inspiegabili incomprensioni con la Francia di Macron, la Meloni sembra cominciare a capire la lezione: il segnale che ha lanciato l’altro giorno sulla riforma del Mes è una delle novità politiche più importanti del nuovo Governo. Peccato che pochi giornali, nessun talk show e pochissimi siti se ne siano accorti e che si contino sulle dita di una mano le testate che hanno spiegato la differenza tra utilizzare e ratificare il nuovo Mes. Nemmeno Draghi pensava di usare il Mes perchè in questo momento l’Italia non ne ha bisogno ma sarebbe stato paradossale che, dopo aver prenotato 200 miliardi di euro dall’Europa con il Next Generation Ue, proprio l’Italia bloccasse la riforma del Mes già sottoscritta da 26 Paesi della Ue tranne il nostro. Per cercare di minimizzare la sua evidente retromarcia rispetto alle follie degli anni in cui stava all’opposizione, la Meloni ha urlato che non userà mail il Mes ma ha lasciato chiaramente capire che non si opporrà alla sua ratifica in Parlamento. E’ una scelta coraggiosa che non era affatto scontata e che va salutata come una bella sorpresa sotto l’albero di Natale. Meglio tardi che mai.
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Ho letto l’intervista di Draghi e mi ritrovo nella parole di Franco Locatelli.
Ma come è avvilente e paradossale per tutti noi dover essere felici che una maggioranza eletta
NON mantenga le sue promesse elettorali (su Europa, MES, extradebito, e tanto altro) e dover essere
preoccupati sulle promesse che sta mantenendo (tetto contante, iniquità impositiva orizzontale, condoni
Inospportabili).
Un paese (e un elettorato) alla rovescia.