Non può essere certo una sorpresa lo scetticismo dimostrato dagli uffici di Bruxelles sulle promesse di riforme contenute nel piano italiano di resilienza e rilancio che il premier Draghi ha illustrato ieri a Montecitorio. E questo non perché ci siano dei numeri sbagliati o omissioni gravi. Il rischio è che se non ci sarà per i prossimi anni un fermo proposito da parte di tutte le forze politiche per portare avanti il piano fino al 2026 e oltre, gli obiettivi di rilancio del Paese non saranno conseguiti. Non avremo i soldi da parte della Ue e non potremo ottenere quei miglioramenti di competitività che ci consentirebbero un ritmo di crescita paragonabile a quello degli altri paesi europei. Rimarremo insomma a navigare nelle acque limacciose in cui siamo stati negli ultimi vent’anni, perdendo tanti giovani preparati che si dirigono oltre frontiera, bloccando di fatto le retribuzioni e le potenzialità di incremento dei posti di lavoro qualificati.
Il problema quindi sta proprio nel fatto che le principali forze politiche finora si sono ben guardate dal prendere posizione sulle riforme necessarie per fare dell’Italia un paese tecnologicamente e culturalmente avanzato, ma si sono continuate ad accapigliare su questioni tutto sommato secondarie, che non meritano di essere elevate a bandiera identitaria di una forza politica come ad esempio l’ecobonus sulle abitazioni (anche quelle dei ricchi) da parte dei 5 Stelle, o quota 100 sulle pensioni che Salvini eleva a simbolo della sua politica, e che ora continua a sostenere, magari con qualche piccolo aggiornamento.
Sulla questione sanitaria, lo scontro politico è avvenuto su un problema del tutto secondario come quello del coprifuoco alle 22 o alle 23. Il risultato è che gli italiani hanno capito che il rischio del Covid è praticamente superato e quindi si sono affollati in strada, magari senza mascherina. Nessuno si ricorda della Sardegna, che in poche settimane è passata da zona bianca a zona rossa!
Draghi ha speso la sua personale credibilità presso le autorità della Ue per affermare che le riforme si faranno e che quindi il nostro piano potrà essere attuato nei tempi previsti. Ma finora non si è visto un impegno dei partiti per discutere e affrontare le riforme (dalla Giustizia alla Pa, dalla formazione al lavoro) che implicano cambiamenti profondi nel modo di essere di molti cittadini italiani, toccando abitudini sbagliate di chissà quanti elettori dei nostri partiti. Il ministro Orlando in un’intervista al Corriere della Sera continua a sostenere la ridicola tesi che la crisi del Governo Conte ci ha fatto perdere due mesi per colpa di Renzi. Qualche riga dopo però è costretto a riconoscere che i capitoli sulle riforme sono stati completamente riscritti, e che Draghi ha dovuto garantire in prima persona la loro fattibilità. Sulla riforma che riguarda il suo ministero come la revisione degli ammortizzatori sociali e la creazione di una politica attiva per collocare i disoccupati dopo averli formati verso le nuove tecnologie, è stato vago: di più, reticente.
Salvini parla di pensioni e di riforma fiscale. Si schiera con i sindacati in difesa di Quota 100 senza dire chi dovrebbe caricarsi gli oneri per sostenere questi nuovi pensionati (che poi se si vede quello che è successo finora si capisce che NON sono le categorie più svantaggiate che hanno usufruito di questo anticipo pensionistico, ma impiegati pubblici e privati).
Nessuno parla di come riformare la Pubblica Amministrazione, a parte la questione delle assunzioni. La Giustizia appare un terreno minato da cui stare lontano. Della concorrenza poi, non si vuole nemmeno sentir parlare. È sintomatico che la Camera dei deputati abbia salutato con fragorosi applausi tutti i passaggi del discorso di Draghi che sottolineavano i problemi di equità economica e sociale, mentre le scarne frasi che il premier ha dedicato alla concorrenza sono state accolte da un glaciale silenzio.
Non sembra che alcune delle principali forze politiche che sostengono il Governo abbiamo una piena consapevolezza dell’importanza di questo piano per far nascere, oltre settant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una nuova Italia. Un paese forte, capace di valorizzare il suo grande patrimonio culturale non solo dal punto di vista turistico, ma anche come base della propria identità nazionale. Un paese capace di offrire opportunità ai giovani e alle persone finora emarginate. Dove si può avviare la chiusura del gap tra Nord e Sud e dove siano ben chiari i diritti ma anche i doveri di ogni cittadino. Non si chiedono nuovi sacrifici. Ci vuole solo l’impegno di ciascuno a cogliere le occasioni che si presenteranno con spirito positivo, mettendosi in gioco per imparare nuove tecnologie e magari per spostarsi sul territorio nazionale al fine di fare nuove esperienze. È un’occasione irripetibile. L’importante che i cittadini non diano retta alle beghe di cortile nelle quali sguazzano, sembra con gusto, molte nostre forze politiche.