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Draghi, dopo il governo di discontinuità ci vorrebbe il doppio turno

Imagoeconomica

Può anche non piacere ma è difficile negare il talento politico di Matteo Renzi. Con due mosse politiche intelligenti, la prima nel 2019 e la seconda nel 2021, Renzi è riuscito a cambiare il corso della legislatura nata sotto la cattiva stella del populismo grillino e del sovranismo leghista e a mettere in sicurezza il paese. Se dalle mani di Grillo, Salvini e Conte siamo passati a quelle, assai più sicure ed affidabili, di Mario Draghi il merito è anche e soprattutto suo. 

Riepiloghiamo i fatti. Nell’estate del 2019 Matteo Salvini ,accecato dal successo conseguito alle elezioni europee, provoca la caduta del governo giallo verde di Conte e invoca le elezioni anticipate. Renzi, con una mossa a sorpresa che spiazza il segretario del Pd Zingaretti, apre ad un governo con i Cinque Stelle ottenendo con ciò un duplice risultato: quello di bloccare la resistibile ascesa di Salvini e, cosa ancora più importante, quello di impedire all’Italia di entrare in rotta di collisione con la Commissione Europea a seguito della prevedibile vittoria del centro destra alle elezioni politiche anticipate. 

Un anno dopo, nel gennaio del 2021, di fronte alla manifesta inadeguatezza del governo Conte bis a fronteggiare la crisi sanitaria, sociale ed economica provocata dalla pandemia, è Renzi ad aprire la crisi di governo che si concluderà, dopo una fase convulsa e opaca (basti pensare alla caccia ai responsabili), con la formazione del governo Draghi.

E’ questo l’esito delle due mosse politiche di Renzi e sfido chiunque a trovare, non solo in Italia ma anche in Europa, una sola persona di buon senso che non abbia tirato un sospiro di sollievo quando Mattarella ha reso manifesta la sua intenzione di incaricare Draghi della formazione di un governo di solidarietà nazionale e che non abbia espresso soddisfazione  per l’esito al quale si è pervenuti.

Per questa soluzione, Renzi si è adoperato sin dall’inizio con grande chiarezza. Ad opporvisi sono stati invece Zingaretti, Bettini e Orlando per il Pd e Crimi, Bonafede e Di Maio per i Cinque Stelle. La loro parola d’ordine è stata fino alla fine: “O Conte o elezioni” e, come si è visto, hanno perso Conte e non hanno avuto le elezioni.

A Renzi va dunque riconosciuto il merito di avere disinnescato sia la mina sovranista di Salvini che quella populista di Grillo e di avere salvato in questo modo la legislatura cambiandone il corso. Non è una cosa da poco! Politicamente è un capolavoro. “Avventurismo”, si lamentano Zingaretti e Crimi, ma si sbagliano. L’avventurismo non c’entra nulla, c’entra invece il tempismo che in politica è quasi tutto e il senso di responsabilità nazionale. Dunque, “chapeau” per Renzi. 

Il governo Draghi segna una netta discontinuità con i governi Conte 1 e 2. Non solo perchè rappresenta il compiuto superamento del trasformismo e della incompetenza su cui quei governi in larga misura si fondavano ma anche e soprattutto per la chiarezza degli obiettivi che si propone.

A Draghi sono bastate poche essenziali parole per illustrare le linee guida del suo programma: investimenti e riforme (insieme), atlantismo ed europeismo, irreversibilità dell’euro e vaccinazioni di massa. Ascoltandolo nessuno ha avuto l’impressione di trovarsi di fronte ad un tecnico prestato alla politica quanto piuttosto di ascoltare le parole di uno statista in grado di restituire alla Politica, quella vera, l’onore che essa merita. 

Certo, da solo il governo Draghi non basta. Per risorgere davvero l’Italia ha bisogno di un profondo rinnovamento della politica, dei partiti e delle istituzioni. Ma a chi spetta porre mano a questo rinnovamento, se non ai partiti stessi e al Parlamento? I partiti, più che “trasformarsi” dovrebbero “rivelarsi”: dovrebbero cioè dire con chiarezza e onestà quello che sono e quello che vogliono.

Ma come possono farlo se la loro vita interna non è regolata per legge, come vorrebbe la Costituzione? Non basta una piattaforma digitale per garantire trasparenza, correttezza e partecipazione democratica. Il naufragio di Rousseau lo dimostra. Ci vogliono regole che non si limitino al problema del finanziamento dei partiti ma che riguardino anche la regolarità dei congressi, la legittimità dei gruppi dirigenti e il rispetto delle procedure democratiche nella assunzione delle decisioni così come nella selezione delle rappresentanze.

La Politica non è morta, si è soltanto ubriacata di populismo. Ma la sbornia prima o poi passerà. Come si dice in America: “Non c’è America senza democrazia, non c’è democrazia senza politica e non c’è politica senza partiti”. Era vero ieri ed è vero anche oggi. I partiti devono cambiare ma senza i partiti la democrazia non può vivere.

Claudio Martelli, in una intervista rilasciata a Firstonline, ha avanzato una proposta molto importante. Per dare ai partiti e al sistema politico italiano tempo e modo per ristrutturarsi, si potrebbero utilizzare i due anni di vita che ci separano dalle elezioni per porre mano alla riforma del Parlamento (una sola Camera con 600 deputati) e per approvare una legge elettorale che preveda il doppio turno, come in Francia e come avviene in Italia per i Comuni e le Regioni. Questa legge garantirebbe il pluralismo (perchè al primo turno tutti possono correre) e la stabilità (perchè al secondo turno si sceglierebbe chi deve governare). Saranno i partiti e il Parlamento italiano in grado di farlo? Difficile ma non impossibile.

Se il Pd facesse un vero congresso (non una kermesse) e i riformisti ne prendessero la guida, potrebbe intestarsi questa battaglia che troverebbe orecchie attente non solo in Italia Viva e fra i centristi ma anche nel centro-destra. Resta, è vero, l’incognita dei Cinque Stelle ma anche qui, vista la facilità con cui hanno cambiato idea su tante cose, non è detto non possano cambiarla anche su questa. 

Ma, al di là della riforma elettorale, che va comunque fatta, quello che bisognerebbe avere ben chiaro è che il governo Draghi segna una cesura nella storia politica italiana. Dopo questa esperienza non ci potrà essere un puro e semplice ritorno al passato. Non si potrà tornare al bipolarismo coatto centro-destra e centro-sinistra dei tempi di Prodi e Berlusconi perché quel bipolarismo era vero soltanto sulla carta e alle prime difficoltà si scioglieva come neve al sole.

Bisognerebbe invece favorire una diversa articolazione della politica italiana, a destra come al centro e a sinistra. Una legge elettorale a doppio turno potrebbe favorire questa evoluzione garantendo al tempo stesso una maggiore stabilità politica. Sarebbe davvero un bel modo per chiudere la legislatura e un buon nuovo inizio per la nostra democrazia.

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