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Dopo due anni di stagnazione, la via d’uscita non si vede

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Il 2019 è un anno caratterizzato da un progressivo rallentamento dell’economia globale. A certificarlo una volta di più è l’ultimo rapporto del centro studi REF Ricerche, secondo il quale anche gli indicatori più recenti mettono in evidenza una fase di crescita moderata per la fase finale dell’anno. Non è stato ancora identificato un fattore dominante nella spiegazione della recente frenata, quanto un insieme di concause, dalle guerre tariffarie, alla Brexit, ai numerosi focolai di crisi che hanno interessato diversi paesi: Argentina, Venezuela, Turchia, Iran per ricordare i principali.

All’ipotesi della sovrapposizione di una sequenza di eventi avversi, fra loro indipendenti, si accosta però una possibile chiave di lettura che tende a ricondurre le tensioni in giro per il mondo ad una matrice comune, l’emergere di un “rischio politico”, da intendersi come aumento della frequenza di scelte di politica economica “estreme”, cui nel recente passato si era attribuita una bassa probabilità di realizzazione. In altri termini, sono le stesse politiche economiche a costituire l’origine dell’incertezza, generando instabilità e quindi una ancora maggiore prudenza delle imprese negli investimenti.

Ne deriva, in definitiva, secondo REF Ricerche, una riduzione del tasso di crescita dell’economia mondiale e anche del suo potenziale, accentuando quindi la tendenza alla stagnazione secolare. Non vi è una spiegazione condivisa dei fattori che possono avere portato alla nuova stagione politica. In parte, è possibile si tratti di una conseguenza diretta delle tensioni sociali innescate dalla recessione del 2008-2009 e dei costi che questa ha comportato per i segmenti della popolazione che sono stati posti ai margini del mercato del lavoro. Molte analisi indicano una ragione di cambiamento nelle diverse modalità di partecipazione alla vita politica attraverso gli scambi di informazioni sui sociali networks.

Certamente l’opinione pubblica si forma adesso in maniera differente rispetto a quando l’informazione era veicolata prevalentemente dai media tradizionali e il peso dei partiti o altri organismi come i sindacati era maggiore. Altre analisi tendono invece a ricondurre il cambiamento in corso al diverso contesto socio-economico sul quale questi si sono innestati. È il tema delle diseguaglianze e dell’arretramento delle middle classes dei paesi occidentali avvenuto negli ultimi tre decenni. Analisi della distribuzione dei redditi delle famiglie sottolineano come a performance non esaltanti in termini di tassi medi di crescita si siano sovrapposte differenziali di crescita sfavorevoli ai ceti medi, a tutto vantaggio delle famiglie che si collocano nei percentili di reddito più elevati.

Le spiegazioni ricorrenti sottolineano diversi elementi, fra i quali gli eff etti della globalizzazione e dei mutamenti nella tecnologia con lo spiazzamento di alcune professioni e una graduale polarizzazione della domanda di lavoro a vantaggio dei lavoratori con qualifiche estreme: i più istruiti e quelli, frequentemente lavoratori immigrati, che occupano i gradini inferiori nella scala delle qualifiche. Non a caso l’arretramento delle classi medie è sovente associato a sentimenti di avversione verso gli immigrati. Se questo è il quadro, l’aumento dell’incertezza politica non è detto sia un fatto transitorio: probabilmente anche nei prossimi anni ne vedremo le conseguenze sulle tensioni che percorrono le società occidentali e sulla propensione a investire delle imprese.

Sinora la reazione allo scenario di indebolimento della congiuntura internazionale è stata affidata alle banche centrali. Gli spazi per ridurre i tassi d’interesse sono modesti, anche perché in diversi paesi i tassi sono oramai su valori nulli o negativi, e occorre riaprire il cantiere delle politiche non convenzionali. D’altra parte, l’efficacia della politica monetaria in un contesto di basse aspettative d’inflazione è limitata. Inoltre, non è detto che una politica monetaria più espansiva possa bastare in un quadro gravato da una caduta delle aspettative degli imprenditori. È stato soprattutto Mario Draghi a sottolineare negli ultimi mesi la necessità non solo di una fase di tassi d’interesse bassissimi per un periodo prolungato, ma anche di un sostegno alla domanda da parte delle politiche di bilancio.

Sono chiamati a intervenire i paesi che dispongono di “spazi fiscali” adeguati, cioè quelli che hanno dei saldi eccedenti rispetto ai target europei. Di fatto, ad eccezione della Germania, le grandi economie dell’eurozona sono fuori gioco. In ogni caso, il clima è cambiato anche per l’Italia. Sia perché in Europa i timori di un peggioramento congiunturale stanno spingendo ad adottare una certa flessibilità, sia perché il crollo dei tassi d’interesse ha aiutato a rivedere al ribasso le previsioni sulla spesa pubblica nei prossimi anni. Oltre alla caduta dei tassi internazionali conta la flessione dello spread prodottasi anche per effetto della migliore capacità di coordinamento con le autorità europee dopo il cambio di Governo.

La politica di bilancio ha puntato a stabilizzare il saldo, adottando una manovra di dimensione piccola. Tacciata di scarso coraggio da parte di diversi commentatori, è invece a nostro avviso del tutto condivisibile, proprio perché riduce l’alea sui provvedimenti e massimizza il rendimento della discesa dei tassi. La struttura della manovra è basata sul “disinnesco” delle clausole Iva, oltre a qualche altro intervento espansivo di ammontare contenuto, coperto in parte in deficit (rispetto al tendenziale) in parte con la minore spesa per interessi e in parte con le misure di contrasto all’evasione, oltre ad altri interventi. Molti hanno evidenziato l’aleatorietà del gettito atteso dalle misure di contrasto all’evasione, anche se su questo aspetto vanno sottolineati i risultati concreti già emersi nel corso del 2019.

La politica di bilancio costruita dal Governo è nel complesso neutrale, semmai leggermente espansiva se si guarda al saldo primario strutturale, ma ha assecondato la discesa dei tassi d’interesse e aiutato a migliorare le condizioni finanziarie all’interno. È un passo avanti, ma dato il contesto internazionale ancora molto fragile, insufficiente per tirare l’economia fuori dalle sacche della stagnazione. Anche il 2020 sarà un anno difficile.

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Categories: Economia e Imprese