L’improvviso irrompere di un virus sconosciuto e pericoloso ha messo a nudo le fragilità dell’uomo moderno e delle società da lui costruite. A partire dalla metà del secolo scorso è cresciuta la sensazione di potenza degli uomini che sempre più si sono ritenuti dominatori della natura e artefici del proprio futuro. Poi però, un piccolo virus ha mandato in frantumi le nostre sicurezze, ha fatto calare il buio sul nostro futuro, ha risvegliato paure antiche che si sono sommate a quelle nuove sugli effetti della tecnologia che potrebbe sostituirci nel lavoro e nell’intelligenza. Ma l’uomo nella sua storia ha superato epidemie catastrofiche e guerre distruttive, riuscendo sempre a uscire dalle crisi con progressi materiali e culturali. Sarà così anche questa volta? Torneremo ad essere come prima della pandemia o saremo meglio, oppure peggio?
A questa domanda fondamentale dà una risposta il nuovo libro di Antonio Calabrò, responsabile della cultura di Pirelli e vicepresidente di Assolombarda e Unione Industriali di Torino: “Oltre la fragilità – Le scelte per costruire una nuova trama delle relazioni economiche e sociali”, Egea, Bocconi. Una risposta problematica ma tendenzialmente positiva. “L’Italia che verrà sarà lo sviluppo dell’Italia migliore che c’è già”, afferma Calabrò dopo un ampio esame dei punti di forza del nostro Paese, senza però nascondere i problemi e le debolezze che ci affliggono da tempo e che oggi stanno manifestandosi con rinnovato vigore.
Si deve partire dalla constatazione che la crisi sanitaria e la sconvolgente crisi economica che si sta manifestando come conseguenza, hanno accentuato le paure dei cittadini, non solo di quelli di livello di reddito più basso, ma un po’ di tutte le classi sociali, in quanto ognuno vede messa in discussione la posizione che ha raggiunto. Aumenta esponenzialmente la richiesta di protezione, di aiuto, di sostegno del reddito ma anche del proprio status sociale da parte dello Stato. Questo sta portando al rafforzamento di quelle forze politiche che vivono sulle paure, che offrono ricette miracolose quanto ingannevoli, che puntano ad accentrare potere entro i vecchi sistemi statali che, basandosi sulla intolleranza e sul fanatismo, hanno già procurato grandi guai all’umanità.
E questo è un fenomeno che si può osservare in tutto il mondo. Abbiamo visto gli sconvolgimenti politici avvenuti negli Usa e in Gran Bretagna. Dal punto di vista culturale, certe critiche distruttive alla globalizzazione e alle colpe dell’uomo sui mutamenti della natura e del clima hanno dato una mano a diffondere incertezze e a delegittimare un’intera classe dirigente che, sia pure tra molte colpe, ha avuto non pochi meriti.
Ma in Italia questa critica radicale all’assetto politico e sociale ha avuto, già prima dell’esplosione della pandemia, effetti peculiari. Siamo l’unico Paese in cui le forze populiste e sovraniste sono in netta maggioranza e sono arrivate al governo, non risolvendo, ma anzi accentuando tutti gli antichi difetti strutturali e culturali del nostro paese.
Una società che da anni ha abbandonato la scuola alle spinte corporative mascherate da ideologie progressiste, che non investe nella ricerca, che non valuta il merito come elemento di selezione della dirigenza, che coltiva una cultura sostanzialmente anti-impresa e anti-mercato, che, come ha detto l’ex magistrato Luciano Violante, approva leggi che si basano sul presupposto che gli imprenditori sono in genere dei birbanti e che vanno controllati passo passo; una società che si diletta a discutere di falsi bersagli come i vitalizi o il Mes invece di occuparsi di come tornare ad una crescita normale e dare sbocchi ai giovani, una società così non lascia quindi molte speranze sulla capacità di reinventarsi un futuro.
Eppure, come ricorda Calabrò, “ex malo, bonum”. Le crisi sono anche opportunità, la gente di fronte al male può repentinamente volgersi al bene. L’Italia possiede importanti punti di forza nelle sue imprese che stanno sui mercati internazionali, nella meccanica e nella meccatronica, nei mobili, nella moda, nell’alimentare, per non parlare del turismo e di tutte le attività legate alla cultura. Dobbiamo saper valorizzare i nostri punti di forza e correggere le nostre debolezze. Queste ultime sono annidate nel settore pubblico al quale certo non si può affidare il ruolo di nuovo padrone delle imprese, nella Giustizia, e nella scuola. La nostra sanità, tutto sommato, a parte il caso della Lombardia, non ha sfigurato nell’emergenza della epidemia. Utilizzando bene i soldi del Mes potrebbe rafforzarsi ancora ed essere un punto di eccellenza anche per il così detto turismo sanitario.
Siamo di fronte ad un bivio. Dobbiamo convincere i nostri concittadini a chiedere allo Stato le cose giuste e non assistenza perpetua, che poi viene pagata con l’inarrestabile diffusione della povertà. Quello che bisogna avere dal settore pubblico è una vera copertura dai rischi più gravi, una lungimiranza nel prevenire le crisi economiche o sanitarie che siano. Bisogna creare il consenso intorno alla rinascita di una società liberale capace di sanare le pecche del precedente modello liberista e di garantire tramite un buon ritmo di sviluppo quel costante progresso che la gente desidera. Non si tratta di promettere a tutti la ricchezza, bensì che tutti avranno la possibilità di realizzarsi in qualsiasi lavoro vogliano scegliere e trovare così soddisfazione nella vita.
Il libro di Calabrò apre importanti spazi di riflessione, specie vista la provenienza dell’autore, presso il mondo imprenditoriale che ha avuto negli ultimi anni troppe sbandate verso il leghismo populista, ma che ora dovrà assumersi ben altre responsabilità per favorire una rinascita di una Italia migliore e più coesa.