Dopo la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore e l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza, il governo Letta si è rafforzato o si è indebolito? In dottrina ci sono due scuole di pensiero. Per la prima è meglio un Esecutivo che possa contare su una maggioranza più larga, anche se questa comporta una maggiore litigiosità tra i suoi componenti; per la seconda, invece, più che i numeri conta la coesione tra le forze politiche. Enrico Letta non ha nascosto di essere un seguace della seconda ed è quindi convinto che oggi il Governo sia più solido, perché la sua maggioranza è più coesa, anche se non necessariamente più omogenea. Come dire che anche quella con Alfano è un’alleanza di necessità e di servizio al Paese.
Fin qui la teoria. Nella pratica, oggi, oltre al vantaggio (almeno psicologico) di non dover fare i conti ogni giorno e più volte al giorno con le stridule e permanenti minacce di Renato Brunetta, il Governo può contare sul fatto che Alfano e i suoi ministri si sono mostrati da sempre leali con il Premier, che gli stessi, al momento, sembrano non poter contare su alcuna collocazione alternativa a quella di maggioranza, vista l’aria che tira nei loro confronti dalle parti di Forza Italia. Ma basta questo per riuscire a portare avanti l’ambizioso e indispensabile programma di riforme che era prima alla base della maggioranza delle larghe intese, e ora di quella più ristretta tra Letta e Alfano?
Difficile dare una risposta certa. Quello che è certo è che il futuro del Governo non dipenderà soltanto dallo stato dei rapporti tra il premier e l’ex segretario del Pdl. Il Governo da ieri deve fare i conti con “l’ira funesta” di Silvio Berlusconi. Il quale, pur avendo poco a che vedere nel fisico e nella mente con il pelide Achille descritto da Omero, quanto a minacce nei confronti degli avversari politici è stato tutt’altro che parco e moderato, arrivando a lambire anche le più alte istituzioni della Repubblica.
Eppure, i problemi maggiori che si trovano dinanzi a Letta e al suo Governo non si fermano a quelli che si preparano a creargli gli ultimi, ma determinatissimi, sostenitori del senatore decaduto. Il Presidente del Consiglio dovrà fare i conti soprattutto con il Pd e con quello che i pronostici politici indicano come prossimo segretario: Matteo Renzi. Il quale nella sua campagna per le prossime primarie dell’ 8 dicembre, ha non poco insistito sulle critiche al governo delle larghe intese (da sempre poco gradito alla base del partito), lasciando intendere un’eccessiva arrendevolezza di Letta agli ultimatum di Berlusconi e Brunetta su Imu e dintorni. Letta potrebbe ora obiettare che è grazie alla sua abilità politica se oggi Berlusconi è stato messo fuori del Senato, secondo quanto previsto da leggi e sentenze, e che Brunetta è ora fuori della maggioranza. La quale anche per questo sarebbe ora più coesa e più efficace.
Si accontenterà il sindaco di Firenze della prudente impostazione di Letta? Probabilmente no. Renzi ha detto chiaramente di attendere Letta alla prova dei fatti e che quindi la prossima agenda politica del Governo dovrà dettarla soprattutto il Pd. Tesi accattivante per il pubblico delle primarie. Ma insidiosa per il presidente del Consiglio in carica e per il suo governo. Anche perché Renzi non ha mai nascosto che il suo obiettivo, Letta o non Letta, è quello di guidare il Paese. Magari al più presto. Di qui il proposito di mettere alla prova sui fatti e sui tempi (subito la nuova legge elettorale) l’Esecutivo e la maggioranza. Se no, “finish”.
Certo, Renzi le primarie non le ha ancora vinte. E Cuperlo e Civati sono concorrenti che non vanno sottovalutati. Ma sull’opportunità di essere sempre più esigenti con l’agenda del Governo e di fare subito la nuova legge elettorale concordano anche gli altri due partecipanti alle primarie del Pd. Ed è proprio per questo che Letta questa volta dovrà mostrare la stessa abilità e saggezza politica usata nella vicenda della decadenza di Berlusconi, nell’affrontare i problemi che gli verranno posti dal suo partito, all’indomani delle primarie.