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Donnet: “Le Generali devono restare un gruppo indipendente e italiano”

Non c’è alcun bisogno di un aumento di capitale perché “i risultati sono eccellenti” a conferma che la formula del Leone è quella giusta. Philippe Donnet, ceo di Generali, oppone la filosofia dei numeri, assai apprezzati da Piazza Affari, ad ogni tentativo di coinvolgerlo in un qualsiasi riferimento all’ “affaire Intesa”, ovvero il presunto tentativo di scalata, vera o presunta, che ha convinto la compagnia ad acquisire un pacchetto del 3% nella banca.

“La scalata non esiste“ sillaba il ceo. E che farete delle azioni di Intesa? “Non è mia abitudine commentare i singoli investimenti”. E da rugbista di razza, Donnet placca ogni altro tentativo di strappare un riferimento qualsiasi al grande giallo, anzi alle “favole”, come le definisce l’ad. Reticenza? Eccesso di riserbo? No, semplicemente monsieur Donnet non vuole che il frutto del suo lavoro, a partire dall’accelerazione della riduzione dei costi, venga oscurato dall’eterno (il più delle volte immaginifico) risiko che circonda le sorti del grande tesoro di Trieste, che, tra l’altro, contiene 66.121 milioni di Btp, una delle chiavi che rendono davvero strategica la prima forza della finanza del Bel Paese.

Il balzo in avanti del titolo, costantemente intorno al 3% dopo l’annuncio dei risultati 2016, conferma che l’orgoglio di Donnet è ben riposto. La compagnia si accinge a distribuire un dividendo per azione pari a 80 centesimi (+11,1% rispetto ai 72 centesimi di fine 2015) esclusivamente frutto della generazione di cassa di 1,9 miliardi, nel pieno rispetto, anzi anticipando, la tabella di marcia promessa ai soci (sui 5 miliardi complessivi previsti tra il 2015 ed il 2018 è già stata assegnata la metà). Accelerano i programmi di risparmio sui costi. “Avevamo promesso – dice Donnet – 200 milioni entro il 2019. Ma abbiamo anticipato l’obiettivo al 2018”, sulla falsariga di quanto già fatto negli ultimi otto mesi del 2016 (tagli per 78 milioni).

Il taglio dei costi, così come le difficoltà incontrate in un anno “problematico” per la finanza italiana non ha intralciato la redditività. Il gruppo del Leone di Trieste ha anzi chiuso il 2016 con risultati sopra le attese con un utile netto in crescita a 2,1 miliardi di euro (+2,5%) e un utile operativo record di 4,83 milioni (+0,9%). Per il 2018, inoltre, le Generali confermano i principali target finanziari, tra cui quello di un net operating cash cumulativo di oltre 7 miliardi.  

Sul fronte industriale i premi complessivi sono ammontati a 70,5 miliardi con un calo complessivo  del 3,9%: è cresciuto il ramo Danni n (+2,1%), ha segnato il passo il segmento Vita (-6,3%), per la frenata dell’offerta dei business tradizionali e dell’approccio “più disciplinato” sul lato dell’offerta. Sotto il profilo patrimoniale, infine, il Regulatory Solvency ratio (indice si solvibilità) che applica il modello interno della compagnia soltanto nei paesi per i quali è stato ottenuto l’ok delle autorità, è salito al 177% dal 171%, mentre l’Economic Solvency ratio, che applica il modello interno all’intero perimetro, è sceso al 194% dal 202%. 

Emerge da questi numeri un business solido secondo binari consolidati. Si procede sul fronte delle dismissioni, ma senza fretta: ”Va avanti la vendite degli assets, ma comunicheremo le nostre scelte solo a fatti compiuti. Non abbiamo fissato un deadline”. La compagnia prevede di ricavare 1 miliardo di euro dalla vendita delle attività in 13 Paesi che costituiscono il 4% dei premi del gruppo ma zero utili.

Acquisizioni? “Siamo opportunistici, guarderemo opportunità se ci consentono di accelerare l’esecuzione del nostro piano”, ha spiegato Donnet sottolineando che al momento non c’è nulla sul tavolo. E agli agenti che hanno chiesto di preservare l’indipendenza della compagnia anche attraverso un aumento, Donnet risponde: “Loro sono molto attaccati all’indipendenza del gruppo. Condividendo questa visione, posso ribadire che un aumento di capitale non è all’ordine del giorno perché non ce n’é bisogno”. Infine, i nodi bancari. Generali ha svalutato la quota in Atlante del 52% (“una soluzione molto prudente”). E Monte Paschi? “Per ora non siamo azionisti, bensì creditori. Vedremo il bail–in”.    

Nel frattempo “Guardiamo al futuro con fiducia, come un gruppo indipendente, italiano a vocazione internazionale”, conclude Donnet.

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