In Italia, la presenza delle donne nei consigli d’amministrazione delle grandi società quotate in Borsa continua a crescere e nel 2021 si attesta al 41,2%: oltre 10 punti percentuali in più rispetto alla media Ue, che è del 30,6%. I dati sono contenuti nel rapporto Bes 2021 “Il benessere equo e sostenibile in Italia”, pubblicato giovedì dall’Istat.
Secondo l’Istituto di statistica, il passo avanti compiuto dal nostro Paese nell’equità di genere va ricondotto in buona misura alle ulteriori misure introdotte dalla legge di bilancio 2020, che ha innalzato al 40% la quota femminile obbligatoria nei Cda delle aziende quotate, aumentando anche da tre a sei il limite massimo di mandati consecutivi.
Le differenze nel tasso d’occupazione fra donne con e senza figli
I dati preoccupanti sulla condizione femminile in Italia, tuttavia, non mancano. È ancora molto ampio, ad esempio, il divario fra il tasso di occupazione delle donne con e senza figli. Tra i 25 e i 49 anni di età, infatti, le donne hanno un lavoro nel 73,9% dei casi se non hanno figli, mentre la percentuale crolla al 53,9% fra quelle che hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni.
La situazione più difficile rimane quella del Sud Italia, dove lavora solo il 35,3% delle donne con figli piccoli, contro il 62,7% del Centro e il 64,3% del Nord.
L’asimmetria di genere nei lavori domestici
La parità di genere è ancora lontana anche nel lavoro domestico e di cura della famiglia, che non è equamente distribuito tra uomini e donne e richiede a queste ultime di modulare le attività extradomestiche in funzione del lavoro di cura.
In questo caso, l’indice di asimmetria – calcolato dall’Istat per misurare quanta parte del tempo dedicato da entrambi i partner al lavoro domestico è svolto dalle donne – raggiunge il 62,6% (media 2020/21), se calcolato per le donne fra i 25 e i 44 anni in coppie in cui entrambi i partner sono occupati.
Rispetto al 2019/20, l’indice migliora, seppure in maniera meno marcata rispetto a quanto fatto fino al biennio 2018/19, ma permangono le differenze territoriali, con la percentuale più alta nel Mezzogiorno (69,9%) rispetto al Nord (60%) e al Centro (62,4%).