Se viaggiare è sinonimo di libertà, anche in questo caso non sempre lo è anche per le donne. Mentre per l’uomo il viaggio è da considerare un momento di crescita, di iniziazione, di avventura, i viaggi delle donne sono stati spesso ridicolizzati o addirittura proibiti. Anche da un punto di vista semantico declinando i sostantivi al maschile e al femminile: basti pensare al divario che intercorre tra l’avventuriero e l’avventuriera, oppure, ancora più evidente, tra il passeggiatore e la passeggiatrice.
Ci sono luoghi nel mondo che ancora oggi per le donne sono ancora off-limits: per motivi culturali, religiosi o sociali. Non solo ma ci sono molte altre ridicole e assurde limitazioni per le donne in giro per il mondo.
In occasione della Giornata internazionale della donna, Airalo, il marketplace di eSIM leader globale nel settore, ha individuato quattro mete – dal Giappone all’India – in cui le donne incontrano divieti e restrizioni alla loro libertà.
Monte Athos, Grecia
Riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, il sito è noto per i suoi monasteri e il suo patrimonio artistico. Tuttavia, dal 1046, l’accesso è severamente vietato alle donne e agli animali di genere femminile, ad eccezione delle gatte. La ragione di questa restrizione è la convinzione che il Monte Athos appartenga alla Vergine Maria, e che la presenza di donne ostacolerebbe il rispetto dei voti di celibato dei monaci. Nonostante le proteste e numerosi tentativi delle donne di eludere il divieto, il Monte Athos rimane riservato agli uomini, protetto da uno status giuridico speciale che lo considera una regione autonoma della Grecia, e da una disposizione europea che ne giustifica l’esclusività per motivi religiosi e spirituali.
Monte Ōmine, Giappone
Considerato un sito sacro per la pratica ascetica dello Shugendō, e recentemente nominato Patrimonio dell’Umanità Unesco, il Monte Omine è un luogo spirituale di grande significato, meta di asceti e pellegrini, compresi membri della famiglia imperiale giapponese. L‘accesso alla vetta è vietato alle donne da oltre un millennio, sia per evitare distrazioni ai pellegrini di sesso maschile sia per il divieto di presenza di donne mestruate ai rituali sacri. Questo divieto, sebbene antico, è ancora oggi contestato, tanto che nel 2004, in seguito all’inclusione della montagna tra i Patrimoni dell’Umanità Unesco, oltre 10 mila donne giapponesi hanno presentato una petizione per chiederne la revoca.
Isola di Okinoshima, Giappone
Quest’isola sacra (anch’essa patrimonio dell’Unesco), presidiata da sacerdoti shintoisti, è in gran parte off-limits per entrambi i sessi. Tuttavia, durante il Kōrō-sai, un festival religioso annuale, solo gli uomini possono visitarla, dopo essersi purificati con un bagno nell’acqua di mare. Le donne sono escluse per motivi di sicurezza legati al viaggio verso l’isola.
Templi indiani
In India, alcuni templi impongono restrizioni all’ingresso delle donne per motivi religiosi o tradizionali. Ad esempio, nel tempio di Sabarimala (Kerala), l’accesso è vietato alle donne tra i 12 e i 50 anni per preservare la venerazione del dio Ayyappan, una divinità celibe la cui tranquillità spirituale non dovrebbe essere disturbata. Anche nel tempio Ranakpur Jain (Rajasthan), le donne non possono entrare durante il ciclo mestruale, poiché tale condizione è considerata incompatibile con la purezza richiesta per la venerazione. Un altro esempio è il Mawali Mata Mandir (Chhattisgarh), dove una leggenda locale stabilisce il divieto di accesso alle donne, ritenute incompatibili con la sacralità del luogo.
Parchi e palestre, Afghanistan
Ma anche senza viaggiare per le donne Afgane ci sono divieti. I talebani hanno vietato alle donne afgane di entrare in palestre, parchi pubblici e luna park della capitale Kabul, in un ‘editto’ che cancella ancora una volta i diritti della popolazione femminile nel Paese, solo pochi mesi dopo aver ordinato l’accesso separato per genere in questi luoghi. Per le donne per altro è vietato viaggiare senza un accompagnatore maschile e sono costrette a indossare l’hijab o il burqa ogni volta che sono fuori casa. “Negli ultimi mesi in alcuni luoghi – anzi, dobbiamo dire in molti luoghi – le regole sono state violate”, ha detto Mohammad Akif Sadeq Mohajir, portavoce del ministero per la Prevenzione del vizio e la promozione della virtù all’Afp. “C’era mescolanza (di uomini e donne), l’hijab non è stato rispettato, ecco perché è stata presa questa decisione”. La notizia è stata accolta con sgomento dalle donne afgane. “Non ci sono scuole, non c’è lavoro… dovremmo almeno avere un posto dove distrarci”, ha detto una donna, che ha chiesto di essere identificata solo come Wahida, mentre guardava i suoi bambini giocare in un parco attraverso la finestra di un ristorante vicino. “Siamo annoiate e stufe di stare a casa tutto il giorno, le nostre menti sono stanche”.
L’ossessione dei giapponesi per i piedi delle donne
Tutti ricordiamo l’assurda imposizione degli uomini giaponesi dell’utilizzo da parte delle donne di calzature che le costringessero a camminare a passetti cortissimi e soprattutto a tenere il piede il più piccolo possibile. Da lì, ai giorni nostri, non si è andati molto lonani in fatto di cosstrizioni e imposizioni ai piedi delle donne: molte aziende impongono infatti alle proprie dipendenti di indossare scarpe cn tacchi alti.
Le donne hanno alzato le proteste: la campagna si chiama KuToo, gioco di parole tra ‘kutsu’ (scarpe) e ‘kutsuu’, (dolore) ed è stata ideata dall’attrice e scrittrice Yumi Ishikawa. Per le attiviste, l’imposizione del tacco è la versione moderna della fasciatura dei piedi in uso nella Cina imperiale. “Abbiamo presentato al governo una petizione che chiede l’introduzione di una legge che vieti ai datori di lavoro di costringere le donne a indossare tacchi alti come forma discriminazione o molestia sessuale”, afferma la scrittrice e attrice Yumi Ishikawa. Era stata lei stessa alcuni mesi fa a lanciare la campagna KuToo, postando un tweet dopo che era diventata virale una richiesta di portare tacchi alti per ottenere un posto di lavoro in un hotel.