Pausa o inversione di fase? Il crollo del 3,6% di giovedì scorso e la debolezza delle ultime settimane del Ftse Mib segnala un momento di riflessione del mercato in cerca di nuovi spunti per continuare a crescere. D’altra parte nell’ultimo anno il recupero del listino è stato quasi senza sosta. Dal giugno 2013 il Ftse Mib si è portato da 15.254 punti agli attuali 20.648. Prima dell’ultimo ruzzolone, solo da inizio anno il rialzo era stato del 12,3% con l’indice che aveva superato i 22mila punti, ai massimi da tre anni e meglio delle altre principali Borse europee: Parigi +6,5%, Londra +2,31%, Francoforte +3,77%, Madrid +8,47%. Siamo davanti a una temporanea e anche fisiologica correzione che finirà con il Quantitative easing di Mario Draghi atteso per giugno oppure a un vero e proprio cambio di fase? “Per noi è abbastanza fisiologico, non parlerei neanche di correzione. Il gap di performance con l’Europa era significativo e rendeva il mercato italiano più vulnerabile. Il fatto che recentemente Piazza Affari abbia fatto leggermente peggio dell’Europa va inserito in questo contesto”, afferma Luigi Dompè, gestore azionario di Anima SGR.
Vi attendete che il mercato italiano riprenda slancio?
Si tratta di una fase di correzione tattica che potrà comportare ancora qualche settimana di debolezza. Bisogna anche considerare che i settori che hanno fatto bene nell’ultimo periodo come il Food&beverage e i materiali di base anche farmaceutico non hanno grande rappresentanza nel Ftse Mib mentre hanno rallentato le banche, i titoli più presenti nell’indice. Ora il mercato fatica a trovare driver che possano portarlo più in alto, ma riteniamo che proseguirà l’intonazione positiva e che Piazza Affari tenderà a fare meglio dell’Europa.
C’è chi ritiene che ci sia troppo ottimismo sull’Europa. In Italia il pil è tornato con il segno meno e ha innescato un’ondata di vendite a Piazza Affari.
Pensiamo che l’interesse per il Vecchio Continente tenderà a proseguire perché ci sono segnali interessanti sulla crescita, soprattutto delle economie periferiche come Spagna e Italia. Per quanto fragile, in Italia crediamo ci siano diversi segnali di miglioramento guardando ai dati sulla produzione industriale e sugli ordinativi. Anche la domanda interna sembra abbia toccato il punto di minimo e quindi non debba scendere ulteriormente. In prospettiva crediamo che la riduzione dell’Irpef e il pagamento debiti della Pa possano alimentare queste tendenze. Pensiamo sia raggiungibile una crescita nel 2014 vicina all’1%.
Come si traduce questo sui listini? C’è spazio per vedere il Ftse Mib a fine anno su livelli più alti?
Sì, crediamo che abbia margine di apprezzamento da questi livelli per quattro motivi: 1) il miglioramento delle aspettative di crescita; 2) la politica monetaria molto accomodante da parte delle BCE con possibili ulteriori interventi nei prossimi mesi per scongiurare i rischi deflazionistici) ; 3) la dinamica degli utili ora non supporta ancora un rialzo del mercato e la revisione dei profitti tende a essere ancora non soddisfacente; tuttavia la stabilizzazione del tasso di cambio, che ci attendiamo anche in seguito alle dichiarazioni della Bce, potrà avere un impatto stabilizzante sulla dinamica degli utili; 4) infine i rendimenti offerti dalle obbligazioni sono molto bassi, favorendo l’azionario con dividendi alti.
Molto del rialzo visto fin qui è stato “drogato” dalla liquidità abbondante nel sistema e dalle aspettative positive sulla ripresa. Non rischiamo un atterraggio traumatico dopo l’euforia?
Se non dovessimo osservare in futuro miglioramenti delle condizioni macroeconomiche e degli utili aziendali di vuoti d’aria ne avremo parecchi. Oggi le valutazioni non sono eccessive ma neanche così basse e c’è stato sicuramente un impatto dalla liquidità ed un’espansione dei multipli. Ma la politica monetaria continuerà ad essere accomodante, e la Bce ha appena detto che è disposta ad agire ulteriormente; in questo momento non corriamo il rischio di un inasprimento delle condizioni di liquidità. I mercati finanziari poi tendono sempre ad anticipare: gli investitori riconoscano che l’Italia, dopo la profonda recessione degli ultimi anni si trova in un momento di inversione del ciclo economico e sono disposti ad attendere che questo si traduca in un effettivo miglioramento nella dinamica degli utili aziendali. Sulla velocità ed entità del rialzo possono certamente avere influito i consistenti flussi da parte di investitori internazionali su asset italiani (sia obbligazionari che azionari) dopo che per diversi anni e durante tutta la fase più acuta della crisi dell’Eurozona avevano evitato di investire sul nostro mercato: crediamo però si tratti di un fatto strutturale e non estemporaneo.
Vedremo più volatilità nei mesi a venire?
Ora la volatilità è bassissima, in ottica storica è difficilmente comprimibile ulteriormente e credo che potremo assistere a livelli di volatilità più alti. Sembra che non siamo più abituati a una correzione neanche del 3/4% che è quanto siamo ora lontani dai massimi degli ultimi tre anni.
Quali sono gli scenari sui listini legati al possibile Qe di Draghi?
Non è così discriminante cosa farà Draghi. L’importante è che faccia qualcosa per dare credibilità a quello che ha detto nella scorsa riunione. Ma non ritengo sia un appuntamento che farà cambiare direzione al mercato. Lo potrà essere nel breve: se non fa nulla o troppo poco, come la riduzione dei tassi dello 0,10-0,15%, è ovvio che i mercati ne risentiranno. Sarebbe invece veramente positivo per i mercati se ci fossero segnali più forti come l’acquisto di asset (Qe) ma non crediamo che questo avvenga almeno per ora. Ci sarà molta attenzione sulla riunione della BCE del 5 giugno: è importante, e lo riteniamo praticamente scontato, che l’azione della Bce vada nella direzione di quanto annunciato con ulteriori interventi volti a scongiurare i rischi deflazionistici e a favorire la dinamica del credito. Se non facesse nulla o troppo poco, come la sola riduzione dei tassi dello 0,10-0,15%, è ovvio che i mercati ne risentirebbero. Più difficile sperare, almeno per ora, a segnali più forti come l’acquisto di asset (QE) che avrebbe certamente un impatto positivo e immediato sui mercati azionari.
Su quali settori scommettere?
Oggi la scommessa è generalizzata. Nelle ultime settimane il mercato ha comprato più difensivi e meno finanziari. In ogni caso, è apparso piuttosto disorientato nei movimenti settoriali. Una delle evidenze che vediamo è che tende a premiare i titoli value con multipli bassi e dividendi elevati piuttosto che titoli growth, come gli industriali. Il dividendo elevato di alcuni titoli, come quelli energetici e le utility, è diventato competitivo con i rendimenti obbligazionari sempre più bassi. Inoltre, noi rimaniamo positivi sui finanziari e sulle banche perché siamo convinti che l’economia in miglioramento inciderà positivamente sulla dinamica deli utili . Nel complesso, scommettiamo proprio su quei titoli che beneficeranno della ripresa domestica perché riteniamo che il mercato sottostimi la capacità dell’Italia di tornare a crescere.
Fino a poco fa però si guardava ai titoli delle società in grado di esportare, perché la crescita era vista solo all’estero.
I titoli esposti all’estero come il lusso sono quelli che hanno fatto benissimo fino a qui, sono stati i top performer degli ultimi anni, ma proprio per questo ormai hanno secondo noi valutazioni piuttosto piene.
Ma le banche hanno già corso moltissimi e hanno davanti mesi difficili con l’Asset quality review della Bce. Non è troppo ottimistico e azzardato puntare su questi titoli?
I titoli finanziari italiani sono caratterizzati da elevata volatilità, hanno performato molto bene negli ultimi mesi, e tendono ad andare a ondate. Ora si guarda all’ Asset quality review e ai potenziali nuovi accantonamenti, lo storno è giustificato da questo, il mercato sta guardando al bicchiere mezzo vuoto. Se pensiamo all’economia che migliora e pensiamo a un 2015 con i bilanci più puliti e meno sofferenze, il contesto può diventare positivo per i titoli finanziari. D’altra parte, la Vigilanza unica europea tende a creare criteri più omogenei. A livello europeo, se si guarda al rapporto price su tangible equity si vede che per le banche italiane è più basso che per altre banche europee, attestandosi a 0,7-0,8, lasciando un certo spazio di crescita delle valutazioni.