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Dollaro debole ed euro forte: come investire in Borsa

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Che cosa cambia per gli investitori il riequilibrio dei rapporti di cambio tra euro e dollaro – Stock picking sulla Borsa americana senza trascurare l’oro e occhio ai listini della periferia dell’Europa, Piazza Affari inclusa, e ai settori più esposti al mercato interno

Dollaro debole ed euro forte: come investire in Borsa

Con l’elezione di Trump in America e di Macron in Francia molti hanno pensato che Europa e Stati Uniti avrebbero preso ad allontanarsi tra loro alla velocità in continua accelerazione con cui le stelle vanno alla deriva nel cosmo dal giorno del Big Bang. Da una parte il trionfo del populismo, dall’altra quello della razionalità liberale. Là l’avvio di politiche economiche all’insegna dell’avventurismo, con tagli di tasse che avrebbero fatto esplodere disavanzo, debito e tassi d’interesse, qua l’allargamento del consenso per politiche di bilancio sobrie e prudenti, con Macron impegnato a riportare la Francia dentro quei parametri di Maastricht che per decenni non aveva mai rispettato.

Il corollario di questa narrazione era che l’America avrebbe al massimo potuto godere di una fiammata di crescita drogata per qualche trimestre, salvo poi precipitare in recessione per effetto dell’inevitabile rialzo dei tassi, mentre l’Europa, allontanata la minaccia populista e rimesso in movimento il processo di creazione di uno stato federale, avrebbe ereditato la funzione, da condividere magari con la Cina, di isola di stabilità, crescita e libertà dei commerci.

Da qui la convinzione che il decoupling tra le borse si sarebbe finalmente realizzato, con un’America cara, stanca e arrivata a fine corsa da una parte e un’Europa relativamente a buon mercato, con utili in forte crescita e pronta a un grande rialzo alimentato da capitali provenienti da ogni angolo del pianeta dall’altra.

Un primo colpo a questa narrazione, quanto meno a livello di immagine, è arrivato dall’incontro a Parigi tra Macron e Trump. Socialisme ou barbarie, ha sempre amato dire la sinistra francese citando Friedrich Engels. Ed eccoli lì, il socialismo e la barbarie, a cena insieme sulla cima della Tour Eiffel in un clima di ostentata allegria e amicizia.

Politica spettacolo, si dirà. Utilità tattica per entrambi di avere una sponda per uscire dall’isolamento (Trump) o dall’abbraccio soffocante della Merkel (Macron). Cose, insomma, che lasciano il tempo che trovano.

Altre cose, tuttavia, alcune visibili e altre meno visibili, vanno nella stessa direzione, quella di una convergenza, piuttosto che una divergenza, tra Europa e America.

Da noi ci prepariamo, come si usa dire, ad avere più Europa. È una delle due idee forti di Macron (l’altra è la riforma del lavoro) quella di creare una politica fiscale europea, di armonizzare la tassazione (con la Francia che si abbassa un po’ le tasse e tutti gli altri che le alzano al livello francese), di creare una capacità impositiva federale e di gestire il tutto con personale proveniente dalla tecnocrazia francese.

In America ci si muove invece per avere meno America e per smantellare uno dei tre pilastri (sanità, pensioni, spesa militare) con cui si attua la politica dei trasferimenti tra stati, quella che in Europa si fa poco e di nascosto (via Bce) per non turbare la Germania. È in fase avanzata l’idea di una devoluzione della sanità ai 50 stati. L’iniziativa è promossa dai repubblicani (tutti, dalla destra di Breitbart e dei Tea Party fino al fiero antitrumpiano senatore Graham) e permetterebbe loro di uscire dal pasticcio in cui si sono cacciati con il fallito tentativo di riformare l’Obamacare.

Gli stati democratici potrebbero così provare a introdurre un servizio sanitario unico all’europea (se avranno i soldi per farlo) e quelli repubblicani potrebbero reintrodurre mercato e concorrenza e tutti, alla fine, avrebbero quello che vogliono. È stato così nel 1996, quando si è decisa la devoluzione dei sussidi federali di welfare agli stati. Con grande soddisfazione di tutti.

Si obietterà che se l’Europa si costruisce lo stato federale mentre l’America discute se smantellarne una parte importante questa è divergenza, non convergenza. Diventa però convergenza se ci si incontra a metà strada.

Questa convergenza a metà strada è ora evidente anche su altri piani meno strutturali. Le politiche valutarie ne sono un esempio. Tra un euro palesemente sottovalutato e un dollaro sopravvalutato ci si sta incontrando in un punto intermedio. È possibile che il livello di equilibrio sia più in alto, tra 1.25 e 1.30, ma il più è fatto e il resto sarà meglio farlo con calma, magari nei prossimi due anni.

La svalutazione del dollaro è la vera grande sorpresa di Trump, che ha alzato prima il tiro con la retorica protezionista per poi raggiungere un buon compromesso convincendo tutti gli altri a rivalutare per evitare una guerra commerciale. Oggi il dollaro è ancora sopravvalutato, ma non di molto, e il mondo è più equilibrato. Con un cambio più forte, gli esportatori patologici (Germania e Cina) avranno un incentivo a rafforzare la domanda interna (e per la Germania la domanda interna è quella europea).

C’è convergenza, virtuosa, anche sul piano della crescita. Tra il 3 per cento americano del secondo trimestre e il 2.8 europeo (entrambi in accelerazione) la distanza è ormai ridotta.

Il prezzo che abbiamo pagato sui mercati per questo riequilibrio è stato la gelata del decoupling sulle borse europee, oggi più basse rispetto al momento in cui si è capito che Macron avrebbe vinto le elezioni. È un prezzo che continueremo a pagare se l’euro continuerà a rafforzarsi, ma se questo rafforzamento sarà, come crediamo, molto più lento, anche le borse europee potranno trarre beneficio dal buon andamento della nostra economia.

Chi ha dollari in portafoglio potrà neutralizzarne la residua debolezza comprando oro nei momenti di discesa (l’oro tende anche a proteggere da eventuali cadute azionarie) e, ancora di più, scegliendo sulla borsa americana i titoli dei grandi esportatori.

Chi ha euro, al contrario, oltre a beneficiare (anche se non se ne accorge) dell’apprezzamento della sua valuta, potrà arrotondare privilegiando i mercati azionari della periferia europea, Italia pienamente inclusa, e i settori più esposti al mercato interno.

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