Con un intervento sull’ultimo numero del settimanale “Milano Finanza”, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, è sceso in campo per caldeggiare lo scongelamento della distribuzione dei dividendi bancari, sconsigliata dalla Bce e dalla Banca d’Italia di fronte all’esplosione della pandemia. “È arrivato il tempo – scrive Patuelli – per superare questa fase emergenziale del 2020 di divieto generalizzato di distribuzione di dividendi agli azionisti delle banche, per tornare alle regole ordinarie che li prevedono con trasparenti limiti e controlli”.
Per la verità, la nuova impennata dei contagi difficilmente indurrà le banche centrali ad abbassare la guardia, ma l’esperienza di questi mesi fa venire alla luce anche i problemi legati allo stop asimmetrico dei dividendi agli azionisti. Tre questioni sono in particolare sotto i riflettori degli analisti finanziari, ma anche delle autorità di vigilanza.
1) BANCHE E ASSICURAZIONI NON SONO LA STESSA COSA
I consigli restrittivi delle Autorità di vigilanza sia bancarie che assicurative hanno preso le mosse dalla necessità di rafforzare i presidi patrimoniali delle società di fronte a uno “shock senza precedenti”. Ma un’analisi più approfondita dei due settori in Italia e in Europa ne evidenzia le differenze e in particolare la maggior solidità delle compagnie assicurative rispetto alle banche e il fatto che le assicurazioni, differentemente dalle banche, non hanno avuto bisogno di chiedere alcun alleggerimento dei requisiti patrimoniali durante la pandemia. Solvency 2 è considerato dagli operatori del settore una base solida per le compagnie e, ad avviso di alcuni analisti finanziari, c’è addirittura un eccesso di capitale stimato in 52 miliardi di euro nei bilanci delle assicurazioni europee. Ma, oltre alla diversa solidità patrimoniale media, ci sono due elementi che rendono meno problematico lo stato di salute delle assicurazioni rispetto alle banche, anche se non va dimenticato che la politica dei bassi tassi d’interesse praticata dalla Bce pesa sia sulle banche che sulle assicurazioni e ne riduce la redditività.
I due elementi da considerare che avvantaggiano le assicurazioni sono:
- l’aumento degli Npl – dovuto soprattutto alla pesante recessione in corso (che ha messo in crisi molte aziende) – pesa sui bilanci delle banche ma non su quelli delle compagnie assicurative;
- la crisi economica grava sui bilanci delle banche anche per effetto del calo della domanda di credito di imprese e famiglie, che, di fronte all’incertezza determinata dalla pandemia, preferiscono rinviare investimenti e consumi e congelare i risparmi nei conti di deposito.
2) ASSICURAZIONI IN ORDINE SPARSO ED EFFETTI ASIMMETRICI IN BORSA
Malgrado la raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico (Cers) e dell’Eiopa (l’Autorità di vigilanza europea sulle assicurazioni), di restringere fino al primo gennaio 2021 la distribuzione di dividendi e buyback, i regolatori nazionali si sono comportati in modo difforme creando asimmetrie tra le diverse compagnie, con riflessi anche sull’andamento dei titoli in Borsa.
Italia e Francia si sono sostanzialmente attenute alla raccomandazione europea, mentre la Gran Bretagna ha assunto una posizione più flessibile e la Germania ha previsto la possibilità per le sue compagnie assicuratrici di distribuire dividendi anche nel 2020. La Svizzera, non essendo soggetta alla regolazione comunitaria, ha lasciato campo libero ai suoi assicuratori. Ne è uscito un quadro molto differenziato di cui non si possono non cogliere le distorsioni in termini competitivi, in cui spiccano soprattutto le mosse dei tedeschi e degli svizzeri.
Vediamo, Paese per Paese, come si sono finora comportate le principali compagnie assicurative.
In Germania, Allianz ha regolarmente distribuito il dividendo (9,60 euro ad azione) ma ha sospeso il buyback e lo stesso comportamento ha tenuto Munich Re (sì al dividendo di 9,80 euro ad azione ma no al riacquisto di azioni proprie). Anche in Svizzera Zurich ha distribuito il dividendo agli azionisti. Nel Regno Unito la compagnia Aviva, che inizialmente aveva deciso di non distribuire la cedola, è poi tornata sui suoi passi e ha accordato ai suoi azionisti un acconto sul dividendo di 0,06 euro ad azione. In Francia Axa ha distribuito un dividendo di 0,73 euro ad azione contro una cedola inizialmente prevista a 1,43 euro ad azione.
E in Italia? La maggior compagnia assicurativa, Generali, ha distribuito una prima tranche del dividendo in maggio pari a 0,50 euro ad azione e messo in cantiere, salvo verifiche, una seconda tranche di 0,46 euro ad azione pagabile entro l’anno. Unipol ha tenuto una linea ondeggiante: la capogruppo ha sospeso il dividendo di 0,28 euro ad azione mentre la controllata UnipolSai ha girato alla capogruppo un dividendo di 0,16 euro ad azione.
Il diverso orientamento delle Autorità e delle compagnie ha avuto effetti distorsivi sui titoli in Borsa? Parrebbe proprio di sì, se si osserva che i titoli assicurativi più premiati o meno penalizzati dal mercato nel 2020 sono stati quelli di due compagnie che hanno distribuito la cedola per intero (Allianz -25,17% e Zurich – 20,65%) mentre le società assicurative che hanno congelato la cedola o l’hanno distribuita solo in parte hanno pagato pegno (-40,34% per Axa e -34,44% per Generali), pur registrando condizioni di solidità patrimoniale che avrebbero consentito loro di pagare tutto il dividendo.
3) SENZA DIVIDENDI UNO STIMOLO IN MENO PER L’ECONOMIA
Ma il congelamento totale o parziale dei dividendi delle società sta sollevando tra gli analisti anche un altro tema di carattere macroeconomico considerando le non indifferenti dimensioni del monte dividendi del sistema finanziario italiano. Non dimentichiamo che solo per le assicurazioni italiane il monte dividendi 2020 è di 4,4 miliardi euro, ma lo stop alle cedole ha riguardato anche le principali banche (3,4 miliardi per Intesa Sanpaolo, 1,4 miliardi per Unicredit, 251 milioni per Banca Mediolanum, 216 per Banca Generali, 200 per Unipol, 147 per Ubi Banca) e primarie società industriali (1,1 miliardi di euro per Fca, 976 milioni per EssilorLuxottica, 183 milioni per Pirelli). Ci si domanda perciò che impatto macroeconomico abbia la sospensione o il rinvio dei dividendi proprio in una fase congiunturale in cui il Covid sta precipitando l’economia italiana ed europea in una gravissima recessione.
Posta in altri termini la questione è: giusto rafforzare i presidi patrimoniali in una fase di emergenza sanitaria ed economica – anche se lo stato di salute di banche e assicurazioni non è lo stesso e forse le seconde ne avevano meno bisogno delle prime – ma la distribuzione dei dividendi non avrebbe potuto indurre un segmento della società – quello cioè composto da azionisti privati ma anche da fondazioni e fondi pensione – a spendere le cedole e a rimettere sul mercato una parte della liquidità ricevuta?
Forse non ha tutti i torti il professor Marco Giorgino, professore di Financial Markets & Institutions del Politecnico di Milano, che, concludendo un lungo intervento sul Sole 24 Ore di venerdì scorso, ha scritto che “pur riconoscendo la necessità e l’importanza di avere un sistema finanziario, bancario e assicurativo, che sappia fronteggiare le criticità di questa fase”, alterare “le normali relazioni tra società e mercato agendo sulla politica dei dividendi” può “creare distorsioni che hanno effetti collaterali pesanti e che non portano ai risultati sperati“.