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Dividendi 2024, in arrivo 34 miliardi: record con picchi di rendimento al 12%. Il caso Saes: super cedola da 12,51 euro

ricchi dividendi per il 2024

Il 2024 non sarà solo ricordato come l’anno di un reddito fisso ancora in buona salute, dopo le maggiori soddisfazioni del 2023, ma anche come un anno dai ricchi dividendi in Borsa in molti comparti, con banche e assicurazioni in prima fila. Si aggiungono poi i ricchi buyback che aggiungono risorse alle casse degli azionisti. In questa situazione e con le Borse ai massimi, ci si chiede se si è di fronte a una bolla oppure no: a confortare gli analisti sono le positive prospettive emerse dai piani industriali.

Tra maggio e giugno, secondo le stime di Intermonte, le società quotate al Ftse Mib staccheranno dividendi per un ammontare complessivo di 33,4 miliardi di euro con un incremento del 26,2% rispetto al 2023. L’anno scorso, come certificato da Janus Henderson Investors, la Borsa Italiana aveva staccato una cedola complessiva da 18,5 miliardi.

A conti fatti, il dividend yield, ovvero il rendimento da cedola ai prezzi attuali, risulta mediamente attorno al 5% rispetto al 4,2% di un anno fa. Ma, spulciando tra le proposte di dividendo indicate nei risultati di bilancio 2023 delle società, emergono alcuni dividend yield sorprendenti che, magari con l’aiuto delle cedole straordinarie, vanno anche oltre il 12%. Il valore dei dividendi che verrà distribuito tra maggio e giugno prossimi è quello previsto dai board sugli utili dello scorso anno. In alcuni casi una parte è già stata anticipata tra novembre e gennaio. Tuttavia alcune società hanno detto che anticiperanno molto probabilmente in autunno parte delle cedole 2025 sugli utili 2024.

“Le stime di dividendo 2023 in pagamento nel 2024 per il Ftse Mib sono state incrementate ulteriormente con la pubblicazione dei risultati”, spiega Alberto Villa, responsabile equity research di Intermonte. “I settori più interessanti per distribuzione di dividendi sono quelli delle banche e delle utility”, con queste ultime che presentano “una crescita più regolare della remunerazione nel tempo. Bene anche il settore dell’automobile, che a differenza del passato oggi riesce a pagare dividendi importanti grazie alle notevoli disponibilità di cassa”. Ma buona è anche la visibilità sugli anni successivi, come si legge nei molti piani industriali presentati in questi ultimi giorni, con dividendi in ulteriore crescita, come è stato indicato per esempio da Poste, Terna e Leonardo.

Il comparto bancario: Banca Ifis in testa con un dividend yield di oltre il 12%

Sono le grandi banche le campionesse di incassi e di restituzione ai soci, visto che sono riuscite a trarre i massimi vantaggi sui ricavi dall’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce, grazie al ritocco degli oneri sui prestiti e, di contro, alle pressoché nulle remunerazioni dei conti correnti. L’impennata dei margini d’interesse si è riflessa sugli utili, che a livello cumulato hanno toccato quota 24 miliardi sulla base dei risultati di di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Mediobanca, Popolare di Sondrio, Credem e Crédit Agricole Italia. A loro volta e in buona parte, questi maxi profitti sono stati “girati” ai soci. Portando ad esempio Unicredit, a fine aprile i suoi azionisti si troveranno la cedola aumentata a 1,8 da 0,99 euro per titolo, per un totale di 3 miliardi. Ma occorre citare anche la novità di Monte Paschi che, dopo un’assenza di 13 anni travagliati, tornerà a pagare il dividendo con due anni di anticipo rispetto agli obiettivi del piano: 0,25 euro per azione, per un monte dividendi di 315 milioni di euro.

La prima società per rendimento è Banca Ifis, che ai prezzi attuali ha un dividend yield di oltre il 12%, a seguire Banco Bpm con il 9,4% circa, in terza posizione Equita con il 9,2%. Tra i bancari, a pari rendimento (9%) si trovano anche Intesa Sanpaolo e Bper Banca. Poi ci sono Banca Popolare di Sondrio dell’8,2%, Bff Bank di oltre l’8%,

Il caso Saes: dividend yield straordinario di circa il 36%

Tra i maggiori dispensatori di cedole, arriva poi Italmobiliare col 9%, la holding della famiglia Pesenti stacca quest’anno un dividendo complessivo di 3 euro per azione, di cui 0,8 euro nella parte ordinaria e 2,2 euro in quella straordinaria dopo la cessione di due marchi in portafoglio, da un lato Florence (moda e accessori), dall’altro Autogas (settore energetico), quest’ultimo annunciato a fine febbraio.

Poi c’è Saras, gruppo specializzato nella raffinazione di petrolio, che ha invece un dividend yield dell’8,5% circa, Rcs del 7,9% circa, Piaggio, Enel, Poste viaggiano attorno al 7%. Le sorprese in positivo sono arrivate anche da Ferrari (2,44 euro, in rialzo del 35%, Italgas (0,35 euro, +11%), Leonardo (raddoppiato a 0,28 euro), Terna. Torneranno alla cedola anche Fiera Milano (dopo quattro anni) e Sabaf, mentre Saipem, che nel 2023 ha rivisto l’utile (179 milioni di euro) ha annunciato che tornerà a distribuire una cedola a partire dal 2025. Nexi continua invece a lasciare i soci a bocca asciutta.

Ma il caso che fa più scalpore è quello di Saes. Il gruppo di componentistica industriale quotata sul segmento Star della borsa di Milano nell’autunno dello scorso anno ha ceduto parte delle attività all’americana Resonetics per 900 milioni di dollari operazione fruttata una plusvalenza di circa 698 milioni. Il board ha deciso di staccare un dividendo, che sarà pagato a maggio, particolarmente alto, di 12,51 euro che, al valore del titolo di 34,8 euro, equivale ad un dividend yield straordinario del 36% circa. Tolto il maxi dividendo, effettuato il buyback e finanziato il piano di prepensionamenti, il presidente Della Porta ha detto Saes dovrebbe ritrovarsi con circa 350 milioni a disposizione. Da inizio anno Saes sale dell’8,1% mentre a dodici mesi la performance è positiva del 15,7% con una capitalizzazione di 616 milioni.

Interessante poi il caso di Azimut che propone un dividendo misto, 1,4 euro suddiviso fra 1 euro in contanti e 0,4 euro in azioni. Queste ultime sono titoli oggetto di buyback e quindi la società distribuisce non utile di esercizio ma patrimonio, con la conseguenza che lo scrip dividend non è soggetto a imposte. Questa forma di dividendo risulta interessante se l’azionista crede che il titolo abbia potenzialità di rivalutarsi in futuro.

Non solo dividendi: la remunerazione dei buyback

Ma le casse degli azionisti verranno riempite non solamente dai dividendi, bensì anche dai ricchi riacquisti di azioni, operazioni che consentono tra l’altro di tenere alti i prezzi dei titoli in Borsa. Tra i maggiori buyback annunciati in Italia, da rilevare quelli di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Stellantis
“A differenza degli Stati Uniti” sottolinea Villa, “in Italia è sempre stato più diffuso il dividendo del buyback per remunerare gli azionisti. Oggi i riacquisti di titoli si sono diffusi da noi soprattutto nel settore bancario, dove tendono a creare valore perché in molti casi le azioni trattano sotto il patrimonio netto tangibile”. Più in generale, secondo l’esperto di Intermonte, “la scelta tra buyback e dividendo dipende anche dalla compagine sociale. Nelle public company ad azionariato diffuso il buyback è apprezzato, mentre se c’è un nucleo forte di Fondazioni socie, che usano il dividendo per le erogazioni al territorio, può prevalere logica della cedola”.

Bolla o non bolla?

Tra dividendi e riacquisti di azioni, si incrementa la corsa delle Borse mondiali che sono sui massimi. Al punto che c’è chi teme una bolla. Villa scarta lo scenario pessimistico: “In una situazione “normale” non prevediamo forti ridimensionamenti delle politiche di dividendo, anche perché tutte le società hanno dato rassicurazioni positive. Comprese le banche, su cui non dovrebbe pesare né il taglio dei tassi di interesse né, almeno in termini rilevanti, un’eventuale richiesta di maggiori accantonamenti dalle autorità di vigilanza”. In questo quadro, “il rischio principale resta un evento geopolitico o un “cigno nero” che influenzi gli utili societari”. Escludendo tale eventualità, per Villa, “il Ftse Mib, con la sua massiccia presenza di banche e utility, potrebbe beneficiare del ritorno della ricerca del dividendo, nell’ultimo anno e mezzo in parte frenata dalla corsa ai titoli di Stato. Uno scenario che potrebbe cambiare con la riduzione dei tassi in vista”.

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