Il divario fra i redditi si allarga ormai da decenni e l’Italia è uno dei Paesi in cui questa tendenza si fa sentire in modo più pesante. Il motivo? “L’ineguaglianza di opportunità”, scrive la Banca Mondiale in uno studio pubblicato oggi dal titolo Toward a new social contract. In altri termini, l’affermazione personale dipende in larga parte da fattori che nulla hanno a che vedere con le capacità personali o le competenze professionali. A risultare decisivi sono piuttosto il luogo di nascita, il livello socioculturale della famiglia e – ancora oggi – il sesso.
Si tratta di un problema che ha radici lontane. Stando alla Banca Mondiale, il divario nella disuguaglianza dei redditi fra l’Italia e gli altri principali Paesi europei ha iniziato ad allargarsi addirittura dagli anni Cinquanta. Negli ultimi decenni anche in Francia e in Germania le disuguaglianze sono aumentate, ma molto meno che nel nostro Paese.
Come spiega al Sole 24 Ore Maurizio Bussolo, economista dell’istituzione internazionale responsabile dell’analisi economica dell’Europa e dell’Asia centrale, “negli anni Trenta il livello di ineguaglianza tra i redditi in Italia era vicino a quello del Giappone, ossia relativamente basso. Oggi, dopo appena due generazioni e mezzo, il livello è aumentato di molto ed è simile a quello registrato in Cile”.
Per evitare che la polarizzazione dei redditi si aggravi ulteriormente – accrescendo il consenso di cui godono i partiti estremisti – la Banca Mondiale propone tre strade. Innanzitutto, alla flessibilità del lavoro andrebbe associata una maggiore protezione sociale sul fronte dell’occupazione. Poi è fondamentale che siano garantite l’universalità dei servizi di welfare e l’espansione della base imponibile con la riduzione delle tasse sul lavoro e l’aumento di quelle sul reddito da capitale.
In ogni caso, la Banca Mondiale fa notare anche dei 23 Paesi al mondo in cui le disuguaglianze sono minori, 23 si trovano in Europa o in Asia Centrale.