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Distretti, export oltre il pre-Covid: in vetta mobili e mele del Trentino

Il Monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo evidenzia come la ripresa italiana sia in buona parte trainata dalle filiere di eccellenza e dall’export verso la Germania. In crisi solo moda e tessile

Distretti, export oltre il pre-Covid: in vetta mobili e mele del Trentino

La manifattura si conferma il pilastro dell’economia italiana: ha una produttività più alta e la ripresa post-pandemica è più rapida del previsto, grazie soprattutto all’export dei distretti industriali, che nel primo semestre 2021 segna un +27,6% rispetto allo stesso periodo del 2020 e soprattutto raggiunge e migliora anche i livelli pre-Covid (+0,7%), sebbene alcuni settori come la moda siano ancora in forte ritardo e nonostante le preoccupazioni per l’inflazione e il rincaro di alcune materie prime. E’ dunque soprattutto merito delle nostre eccellenze di filiera se il Pil italiano a fine anno potrebbe recuperare quasi il 6%, secondo il Monitor di Intesa Sanpaolo, facendo meglio della media dell’Eurozona e degli Stati Uniti. Ma quali sono i distretti che vanno meglio?

In generale, al netto del Covid e dunque considerando i valori del 2019, i migliori sono elettrodomestici (+29%), metallurgia (+22,2%), cibo e bevande (+15%), automotive e mobili, mentre appunto soffrono la catena della moda (-29%) e anche, in misura molto minore, la meccanica (-1,6%). Ancora più interessante l’analisi dei singoli distretti: quello che è cresciuto di più come valore sono i metalli di Brescia, che hanno esportato 438 milioni in più dal primo semestre 2019 al primo semestre 2021, ma in termini di dinamica l’exploit è tutto dei mobili imbottiti di Forlì (+55%) e delle mele del Trentino (+54%). Bene anche la nocciola e frutta piemontese, l’ortofrutta di Catania e la nautica di Viareggio, col business degli yacht che ha vissuto un vero e proprio boom in piena pandemia. Più contenuta, poco superiore al 20%, la crescita dei distretti veronesi di dolci e pasta e della carne.

L’area che va meglio è il Nord-Est, mentre a sostenere l’export italiano è come sempre la locomotiva tedesca, che da sola vale quasi 9 miliardi, 562 milioni in più quest’anno rispetto a due anni fa. Il secondo partner è la Francia (7,3 miliardi) che però nello stesso periodo è cresciuta in valore solo di circa 113 milioni, a seguire gli Stati Uniti con 6,4 miliardi. Attenzione alla risalita della Cina, un Paese verso il quale i distretti italiani esportano ormai per oltre 2 miliardi, 400 milioni in più rispetto a prima del Covid e nonostante la stretta autarchica varata dal presidente Xi Jinping soprattutto nel lusso. L’altro motore della nostra ripresa è l’Irlanda, che in questo periodo pandemico e post-pandemico ha molto più che raddoppiato le proprie importazioni di prodotti di eccellenza italiani: oggi sono 523 milioni di euro di valore, due anni fa erano appena più di 200 milioni.

Non mancano tuttavia le note dolenti, e sono quasi tutte concentrato nel sistema Moda e Lusso. L’oreficeria di Valenza perde drammaticamente quasi 400 milioni di esportazioni, cioè il 36,2%, e fanno quasi altrettanto male l’abbigliamento di Rimini e le calzature e pelletteria di Arezzo, intorno al -34%. Cede il 26% anche il tessile di Biella e poco di più il seta-tessile comasco, e a seguire il tessile-abbigliamento di Prato, le calzature di Fermo e la concia e calzature di Santa Croce sull’Arno, in Toscana. Limitano i danni, con perdite del 10% o inferiori, il tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno e la pelletteria e calzature di Firenze. Anche questi distretti però, secondo l’analisi di Intesa Sanpaolo, danno segnali di ripresa, grazie a quella che è la vera e propria forza e unicità del made in Italy: la diversificazione. Secondo l’inverso dell’indice di Herfindhal-Hirschman sulla diversificazione di prodotto delle esportazioni di beni manufatti, l’Italia è leader mondiale con quasi 300 punti. Si fermano a 150 gli Usa, la Francia e il Regno Unito abbondantemente sotto i 100.

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