Oltre un miliardo di persone, circa il 15% della popolazione mondiale, vive con qualche forma di disabilità, percentuale in crescita anche a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento globale delle malattie croniche. Di queste, almeno un quinto deve affrontare ogni giorno difficoltà molto significative. La disabilità colpisce soprattutto i più vulnerabili: i Paesi più esposti sono quelli a basso reddito e le persone più a rischio sono donne, anziani, bambini e adulti in condizione di povertà.
La metà dei disabili nel mondo non può permettersi cure sanitarie e le persone con disabilità hanno il doppio delle probabilità di trovare competenze inadeguate in chi fa assistenza sanitaria. Inoltre, i disabili sono quattro volte più a rischio di essere maltrattati e quasi tre volte di più che gli siano negate le cure sanitarie.
In molti Paesi i servizi di riabilitazione sono inadeguati: in quattro paesi dell’Africa Meridionale solo il 26-55% dei disabili ha ricevuto la riabilitazione medica di cui aveva bisogno e appena il 17-37% ha ottenuto i presidi sanitari necessari (sedie a rotelle, protesi, apparecchi acustici) (Oms e Banca Mondiale, 2011).
Secondo l’Istat, in Italia sono più di 3 milioni le persone affette da gravi disabilità, e di queste solo 1 milione e 100 mila usufruisce dell’indennità di accompagnamento. Oltre 200 mila adulti vivono ancora in istituti e molti altri sono segregati in casa, assieme alle loro famiglie, a causa dell’assenza di supporti, di sostegni, di opportunità.
Considerando le famiglie italiane, dai dati Istat risulta che l’11,4% ha al proprio interno almeno un individuo non autosufficiente, con punte del 15% in Puglia e Umbria. Un trend evolutivo di aumento particolarmente rilevante si registra nell’ambito del disagio psichico, per il quale l’Istat segnala il peggioramento dell’indice di salute mentale, specie tra i giovani e gli stranieri.
In Europa ed in Italia alcuni sforzi importanti sono stati fatti nella direzione di migliorare l’accesso delle persone con disabilità ai servizi sanitari, migliorare la sicurezza sul lavoro per ridurre il rischio di sviluppare disabilità nel corso della vita professionale e per migliorare il reinserimento dei lavoratori disabili e la prevenzione di tali rischi, sensibilizzare sulla disabilità le Facoltà di Medicina e gli istituti di formazione professionale in ambito sanitario, migliorare l’accesso a servizi di riabilitazione adeguati.
Ma nonostante l’elevata presenza di disabili, la politica, ed in particolare le politiche di welfare in Italia stentano a farsi carico adeguatamente del problema. La spesa pubblica per disabilità è una delle più basse tra le economie avanzate europee (spesa pro-capite per disabilità, euro correnti a parità di potere d’acquisto). La spesa pubblica e privata per sussidi di invalidità e congedo di malattia retribuito, in percentuale del Pil, risulta particolarmente bassa rispetto alla media europea.
Solo lo 0,6% è speso per i sussidi di invalidità, rispetto all’1,1% della media UE. E per citare un esempio concreto vicino a noi, nel Lazio a fronte della presenza stimata di 12.000 individui ciechi o ipovedenti gravi, l’Istituto regionale per la assistenza a questa categoria – tra l’altro tra le più tutelate –, il Centro S. Alessio, non riesce ad assistere nemmeno 1000 persone all’anno.
La conseguenza evidente è quella di un carico molto pesante che ricade sulle famiglie dei disabili, sia dal punto di vista finanziario, che da quello sociale, e sia rispetto ai costi diretti (spese effettivamente sostenute), che a quelli indiretti (risorse venute meno), che a quelli intangibili (psicologici, umani e sociali).
La disabilità pone problemi di accettazione e di atteggiamento, non solo per quanto riguarda le politiche, il sostegno economico, i servizi dedicati, l’adeguatezza dei luoghi di vita, l’accesso alle prestazioni. La disabilità pone problemi innanzitutto dal punto di vista sociale e psicologico nel senso che dice la Kristova, in quanto ci pone di fronte a temi che turbano le nostre coscienze, come la differenza, la sofferenza e la morte.
Come scrive Julia Kristova “Il loro sguardo buca le nostre ombre”. E ancora: “L’handicap ci mette a confronto con la morte fisica e psichica, con la mortalità che opera dentro ciascuno di noi”. E ancora: “È un cambiamento epocale quello che ci viene richiesto, perché concerne l’idea stessa di umanità”.
Per molte persone relazionarsi con un disabile grave significa sentirsi vacillare nel profondo della propria identità e riconoscere, specchiandosi nell’altro, la propria debolezza, il fatto di essere mortali ed il rischio che continuamente corriamo di essere noi stessi risucchiati dalla sofferenza. Da cui la lunga storia di rimozioni della realtà della disabilità, dalla Rupe Tarpea dell’epoca romana alla segregazione dei nostri giorni in strutture separate o in classi scolastiche differenziali.
Pochissimi sforzi sono stati fatti in modo particolare rispetto ai pregiudizi che ancora si manifestano nei confronti delle persone disabili. Nella modernità la questione ha raggiunto un ulteriore punto critico a seguito dello sviluppo del benessere diffuso e della crescita delle disuguaglianze sociali, che ha provocato quello che può essere definito il dramma degli scarti materiali ed immateriali che la società moderna provoca, il problema della plastica e quello dell’acqua pulita, ma anche il problema delle “vite di scarto” delle fasce di emarginazione nelle città e nei territori. Di queste fasce di emarginazione fa spesso parte la disabilità.
La diffusione crescente delle patologie neurodegenerative, come le demenze e l’Alzheimer, assieme alla sopravvivenza ed alla longevità che caratterizza ormai molte disabilità per le quali in passato si moriva precocemente, hanno accentuato la contraddizione tra dimensione quantitativa e spessore umano della presenza di disabili nelle nostre famiglie, da un lato, e difficoltà a relazionarsi positivamente con i disabili, accettando i loro limiti e trovando il linguaggio giusto e le compatibilità percorribili rispetto alla vita dei membri “sani”, dall’altro.
L’esempio del lavoro portato avanti da associazioni come Alzheimer Uniti con i Caffè Alzheimer è emblematico da questo punto di vista.
La diffusione, anch’essa crescente, del disagio psichico nella forma delle nevrosi, della depressione o del disadattamento giovanile, trova le famiglie impreparate e la società non attrezzata ad accogliere, ad aiutare e ad integrare. Il lavoro portato avanti dalla Fondazione Di Liegro a Roma, con la musico-terapia, l’arte-terapia ed il counseling familiare, costituisce un esempio positivo di come bisognerebbe porsi di fronte a queste forme di disagio.
°°°°°L’autrice è Presidente del CPS Istituto Regionale S.Alessio di Roma