L’innovazione digitale fa crescere il Pil. Ecco perché Confindustria digitale lancia l’ennesimo appello per chiedere a governo e forze politiche di “investire nella trasformazione digitale del Paese, raddoppiando le risorse finanziarie e umane”. E per raggiungere l’obiettivo chiede di “accelerare con una governance del digitale chiara a autorevole, incardinando la regia in un Dipartimento permanente della Presidenza del consiglio”.
Per l’Italia 4.0, insomma, non basta l’Agenda digitale. Non che dal suo lancio il Paese sia rimasto fermo: sono molte le iniziative che dal 2014 in poi si sono susseguite. Il punto è che sono frammentate e non riescono a fare sistema. Ecco perché serve una nuova spinta e solo Palazzo Chigi può darla, secondo gli industriali. Le richieste di Confindustria digitale – che vorrebbe fossero inserite nella prossima manovra finanziaria – sono state presentate alla Luiss dal neo presidente Cesare Avenia insieme a dati che fanno riflettere sui ritardi che l’Italia sta accumulando. Uno su tutti: la spesa pubblica italiana relativa all’innovazione digitale arriva a 85 euro per cittadino, a fronte dei 186 euro della Francia, 323 euro dell’Uk e 207 euro della Germania.
Emerge soprattutto la necessità – non solo in questo settore, in verità – di migliorare la gestione dei fondi europei: sia per l’insufficiente progettazione rispetto alle risorse disponibili (3,1 miliardi per il settennato 2014-20) sia per la capacità di portare a compimento i progetti. Secondo i dati pubblicati dal sito OpenCoesione (febbraio 2019) sono stati presentati 16.855 progetti, ma quelli già condotti a termine sono solo il 13%, mentre i progetti in corso sono il 75% e quelli non avviati il 12%. A distanza di 18 mesi dalla fine del 2020 si rischia infine di “bruciare” quasi il 50% delle risorse: per circa 1 miliardo non si conosce ancora la progettualità mentre altri 700 milioni sono riferibili a progetti non ancora avviati.
C’è di che preoccuparsi se si considera che – sempre in base ad una elaborazione di Confindustria su dati Istat e Unioncamere, in Italia tra il 2019 e il 2021 le sole imprese del settore Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) avranno bisogno di quasi 45 mila tecnici. Un fabbisogno che il mercato difficilmente riuscirà a soddisfare. Secondo l’ultima edizione dell’«Osservatorio delle competenze digitali» (condotto da Anitec-Assinform, Aica, Assintel e Assinter Italia e recentemente pubblicato dal Sole 24 Ore), la stima del fabbisogno del settore Ict sale a 62.359 lavoratori, nello scenario più conservativo. L’Osservatorio calcola che i lavoratori più ricercati saranno sviluppatori (49,1%), consulenti Ict (16,3%), analisti di sistema (7,5%) e specialisti in media digitali (6,1%). Seguiti da specialisti di big data, machine learning, cybersecurity e intelligenza artificiale.