Almeno quattro start-up al giorno, domeniche comprese, passano sotto la lente di Digital Magics, l’incubatore di realtà digitali quotato all’Aim, una delle lenti più sensibili per misurare la voglia e l’effettiva consistenza dei talenti de Made in Italy sotto i cieli della rivoluzione digitale.
Nel 2017, in particolare, dall’esame di 1.378 progetti (saranno 1.500 nell’anno in corso) sono emerse 19 nuove partecipazioni, comprese le 9 detenute attraverso l’acceleratore seed Withfounders, che sono andate ad aggiungersi alle 39 già esistenti che hanno chiuso il 2017 con un giro d’affari aggregato di 33,3 milioni di euro, con una crescita del 43% rispetto all’anno precedente.
Ma come avviene la scelta degli “eletti”? ”Noi utilizziamo quattro criteri – spiega l’amministratore delegato Marco Gay– Per prima cosa conta l’idea iniziale. Poi attribuiamo grande peso alla qualità della squadra. Il team ideale conta almeno 2-3 membri. Di lì si passa alla business idea, cioè la strada per tradurre l’idea iniziale in un approccio al mercato, L’ultimo stadio, cioè la realizzazione del business plan vero e proprio viene curato in collaborazione con noi”. Il tutto in tempi rapidi, perché, in era digitale, il tempo è più che mai denaro.
La formula Digital Magics funziona. Ma da sola non è certamente sufficiente a colmare il gap del Bel Paese nei confronti di una concorrenza che può contare su canali finanziari ben più consistenti: l’intero sistema italiano ha assorbito nel 2017 investimenti per 207 milioni di euro, molto meno della potenza di fuoco della concorrenza. “Grazie agli sforzi del ministero dello Sviluppo Economico – commenta Gay – l’esenzione fiscale per gli investimenti in innovazione è salita dal 19 al 30 per cento. Ma è solo un inizio, se pensiamo a quello che fanno gli altri. In Spagna l’esenzione sale al 55%, ancor di più fanno Francia e Germania, nel Regno Unito si arriva all’80%”. L’Italia, insomma, è il fanalino di coda, accettando così una pesante ipoteca sul futuro. Eppure il successo dei Pir indica la strada maestra: sarebbe sufficiente consentire agli investitori istituzionali (fondi pensione in testa) di investire una percentuale della raccolta, mettiamo il 5%, in start-up innovative con un trattamento fiscale agevolato. “Con iniziative di questo tipo – aggiunge l’ad di Digital Magics – l’Italia si porterebbe al livello degli altri Paesi in condizione di sfruttare il potenziale del sistema che sicuramente c’è”.
Come dimostrano i numeri della società come emergono dai dati dell’ultimo esercizio:
- Nel 2017 il gruppo ha rinforzato la propria posizione finanziaria, acquisendo partecipazioni in 19 nuove società;
- le aziende che gravitano attorno a Digital Magics hanno raccolto 7,4 milioni di euro (2,8 direttamente dalla casa madre);
- la posizione finanziaria netta ammonta a 2,4 milioni con disponibilità liquide per 6,2 milioni;
- il patrimonio finanziario netto ammonta a 18,9 milioni, grazie ad un aumento di capitale e all’esercizio di warrant, un rafforzamento che contribuirà a sostenere i piani di investimento in altre 10-15 partecipazioni.
- L’Ebitda si attesta ad 638mila euro, (era 333mila nel 2016); la differenza è dovuta principalmente ai costi sostenuti per programmi di open innovation tra cui Magic Wand, il programma dedicato al Fintech ed all’insurtech.
- L’EBIT raggiunge la cifra di 2,04 milioni, mentre nel 2016 si attestava a 249 mila; la differenza è dovuta ai maggiori ammortamenti connessi ai maggiori investimenti in immobilizzazioni immateriale, ed in parte anche per la svalutazione dei crediti verso le società partecipate
- Durante il 2017, il socio di riferimento, Tamburi Investment Partners, ha creato Star Tip, che prevede di investire fino a 100 milioni in imprese e progetti nell’area delle start – up digitali, un’operazione coraggiosa ma purtroppo rara nel panorama i casa nostra.