Il salto da un sistema di sicurezza basato sulle forze Usa ad un sistema in cui ogni Paese europeo dovrebbe provvedere da sé alle proprie esigenze di difesa e di dissuasione dei malintenzionati è stato brusco. È anche comprensibile che la pubblica opinione, specie in Paesi come il nostro, sia piuttosto confusa. E purtroppo molti partiti cercano di sfruttare questa confusione per raggranellare qualche voto. Vogliamo la pace, certo un bene supremo a cui tutti devono aspirare, ma spesso la confondiamo con la resa alle pretese dei più prepotenti. Ci illudiamo che così non saremo chiamati a pagare prezzi, mentre la storia insegna che quando si perde la libertà anche il benessere materiale ne risente, lentamente svanisce. Il nuovo padrone non penserà all’efficienza del Paese, ma semplicemente a perpetuare il proprio potere con mezzi necessariamente sempre più coercitivi.
La posta in gioco è quindi molto alta. Direi esistenziale. I Paesi europei messi sotto pressione da Putin già da qualche anno, ed ora improvvisamente, e ruvidamente, messi alle strette da Trump, si trovano a dover ripensare al loro modo di essere, al loro ruolo nel mondo tra i giganti che stanno tentando di spartirselo secondo sfere di influenza. L’Europa rischia di essere divisa tra la Russia di Putin ed alcuni Paesi tollerati, più che alleati, agli Usa che li sopporteranno solo se sono piccoli ed ubbidienti. Per mantenere un ruolo nel mondo ci vuole capacità politica, ma anche uno strumento militare efficiente che possa dare credibilità alla nostra diplomazia.
Ne abbiamo parlato con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa e già candidato al Parlamento prima per +Europa e poi per Azione, il quale spiega che è assurdo pensare che esista una contraddizione tra l’efficientamento dei singoli eserciti nazionali e in prospettiva la creazione di un esercito unitario europeo.
“Noi tutti sappiamo – afferma Camporini – che ogni singolo Paese europeo è troppo piccolo per dotarsi di una forza armata efficace come deterrente. Quindi alcuni Paesi, con in testa Francia e Gran Bretagna, si sono mossi per chiamare a raccolta un gruppo di altri Paesi, anche al di fuori dei confini della Ue, per far partire un processo di rafforzamento del sistema di difesa europeo che si affianca e si integra con quello proposto dalla Commissione europea di 800 miliardi per rafforzare le forze armate di singoli paesi. Credo che nel gruppo di testa presto entrerà la Germania che ha appena eliminato il vincolo costituzionale che impediva di aumentare l’indebitamento per potenziare le proprie forze armate. Quelli che dicono che il piano europeo di rafforzamento dei singoli Paesi sia in contraddizione con l’aspirazione ad avere un esercito unico della Ue, sbagliano. Nella migliore delle ipotesi gettano il cuore oltre l’ostacolo, in altri casi, fanno ammuina per rinviare ogni decisione, che invece è urgente e che può benissimo essere considerata il primo passo verso un esercito totalmente integrato”.
Sappiamo bene che le competenze di Bruxelles in questa materia sono limitate, quasi inesistenti. Per questo si cerca di agire anche al di fuori degli schemi Ue come dimostra il coinvolgimento della Gran Bretagna che con la Brexit aveva lasciato Bruxelles. Ma alcuni guardano con sospetto al riarmo della Germania perché riaffiorano vecchi ricordi. Dobbiamo averne paura?
“Credo proprio di no. Dopo la seconda guerra mondiale la mentalità tedesca è profondamente cambiata. Non c’è il militarismo dell’inizio del secolo scorso, mentre le forze armate tedesche hanno bisogno di una forte iniezione di capitale perché sono sotto organico, non hanno una logistica adeguata, sono lontani da avere una buona efficienza nei sistemi di informazione. E poi è ovvio che gli eserciti dei vari Paesi devono essere integrati tra loro per poter agire efficacemente”.
Ma con quali sistemi di comando e controllo possiamo far agire i vari Paesi in modo coordinato?
“Il modello c’è già ed è quello della Nato che non ha truppe proprie ma dispone di organi di comando sia politici sia tecnici che di volta in volta , quando si devono prendere decisioni operative, mobilitano reparti e mezzi delle forze armate nazionali che si integrano sul campo sulla base di specifiche operative ben note a tutti”.
Al di là delle cifre enunciate da Ursula von der Leyen che hanno impressionato molti cittadini, ci si chiede come verranno spesi tutti questi soldi. Si stanno facendo piani concreti in Italia e negli altri paesi per concentrare i fondi sulle questioni prioritarie, evitando sprechi e duplicazioni con quello che fanno gli altri Paesi?
“Le forze armate italiane hanno bisogno di un potenziamento. Soprattutto l’Esercito, che negli ultimi tre decenni si è concentrato soprattutto sulle missioni di peacekeeping, ha trascurato alcuni armamenti che non erano necessari in quei teatri come ad esempio quelli così detti di alta capacità (carri armati, cannoni a lunga gittata e altro). Ma ora il nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Masiello, sta lavorando con determinazione e grande capacità per porre riparo a queste carenze”.
Ma se ogni Paese andrà per conto proprio non c’è il rischio di duplicare i sistemi di arma e quindi rendere questo riarmo più costoso e anche meno efficiente? Non sarebbe meglio puntare tutto su una integrazione industriale europea e su pochi grandi progetti?
“Certo, ci vuole una maggiore integrazione industriale ed una razionalizzazione delle produzioni evitando duplicazioni. Ma ci vorrà tempo. Certo, sarebbe bene che la politica si riappropriasse del potere di indirizzare le industrie degli armamenti verso integrazioni europee, invece di essere spesso succube della lobby di potenti industriali che puntano a rimanere nazionali nella speranza di aggiudicarsi la maggior parte della torta. Ma sbagliano. Perché una maggiore specializzazione delle produzioni porterebbe ad un aumento delle quantità ed anche ad una posizione competitiva sui mercati internazionali da non sottovalutare. Poi ci sono delle questioni fondamentali e prioritarie che andranno affrontate con urgenza a livello europeo”.
Vale a dire?
“Mi riferisco a tutte le strutture di comando e controllo e alla intelligence. Insomma quelle strutture che creano un ambiente informativo senza il quale un esercito moderno non può operare. Le capacità in Europa ci sono ma ci vogliono più mezzi, più satelliti, più capacità di trasmissione dati ad alta velocità. Come si dice in gergo militare, bisogna ridurre i tempi di ‘rivisitazione’ cioè l’intervallo del passaggio del satellite sullo stesso terreno. Quindi bisogna mandare in aria più satelliti. Ed avere anche molti altri sistemi di osservazione come aerei e demoni. Abbiamo già previsto nei trattati europei delle strutture che potrebbero costituire la cosiddetta gamba europea della Nato nelle funzioni di comando. Si tratta di potenziarle sia per l’ operatività sia per l’impostazione dei progetti per i nuovi sistemi d’arma”.
Nelle ultime settimane si è anche parlato del nucleare senza il quale la deterrenza delle forze armate europee sarebbe poco credibile. Che ne pensa?
“Si tratta di un tema difficile e molto delicato. Affrontarlo subito rischierebbe di inceppare il percorso di rafforzamento delle difese nazionali che sta partendo e che mi sembra urgente. Per noi le atomiche sono un strumento strategico e non da usare tatticamente sul campo di battaglia . A differenza dei russi, noi abbiamo smantellato quasi tutte le bombe atomiche tattiche e oggi l’ombrello strategico è offerto dagli Usa, ma anche da Francia e Gran Bretagna. Vedremo di affrontare il tema al momento opportuno”.
Infine una curiosità. Vedendo gli ultimi dati della situazione economica della Russia che mostrano un inflazione superiore al 10%, i tassi d’interesse della banca centrale al 21% – addirittura la governatrice della banca ha detto che dovranno per qualche tempo congelare i risparmi che i cittadini russi detengono – non sembra che il loro sistema economico possa reggere a lungo. Anche sul terreno, non sembra che l’Armata stia sfondando le linee degli ucraini che si difendono con grande eroismo e notevole compattezza (alla faccia di tutti quelli che dicono che l’Ucraina è finita). Quindi l’intervento di Trump è arrivato proprio all’ultimo minuto e sta salvando il dittatore russo dalla sconfitta. È cosi?
“Direi che sicuramente Putin non sta vincendo. Negli ultimi mesi ha perso tra morti e feriti 400 mila uomini e cioè 1000 uomini ogni chilometro quadrato conquistato. Un po’ tanto anche per chi può contare su riserve di materiale umano abbastanza grandi. Comunque gli obiettivi di Putin erano molto più ambiziosi. Nel febbraio del 2022, due giorni dopo aver iniziato l’invasione, Putin rivolse un appello all’esercito di Kiev invitandolo a ribellarsi a Zelensky ed unirsi ai russi. Questo a conferma che il suo obiettivo era quello di eliminare l’Ucraina. E questo finora non gli è riuscito. Mentre gli ucraini hanno dimostrato abbondantemente che non vogliono finire ancora sotto gli stivali dei russi”.
Il rischio è che ora l’Ucraina gli venga regalata da Trump, mentre per l’Europa, come si è detto giovedì al vertice di Parigi, il salvataggio dell’Ucraina sarà la cartina di tornasole per valutare da parte di tutto il mondo la credibilità dell’intera Europa. E i Paesi come l’Italia, che per ora balbettano e fanno incredibili capriole per tenere insieme il diavolo e l’acqua santa, dovranno rapidamente scegliere da che parte stare. E Meloni non potrà non stare vicina ai principali Paesi europei.