Tutti i media del mondo titolano sul crollo dell’ultimo muro: dopo 53 anni riprende il dialogo tra Usa e Cuba. Obama e Raul Castro ringraziano Papa Bergoglio per la mediazione. Ma mentre cade il muro nei Caraibi, si fa sempre più alto quello che separa la Russia dall’Occidente. Presa nella tenaglia tra le sanzioni post crisi ucraina e il crollo del prezzo del petrolio, l’economia russa sembra davvero vicina al tracollo. Nel pomeriggio del 18 dicembre, mentre Putin tiene la consueta conferenza stampa fiume annuale l’euro vale 73,72 rubli dopo aver toccato quota 79, e il dollaro si assesta a 60,06 rubli con un deprezzamento di quasi il 50% rispetto all’inizio dell’anno. L’inflazione oramai veleggia verso le due cifre. E il prezzo del barile non accenna a frenare la sua corsa verso il basso distruggendo così la principale fonte di valuta della Russia che copre il 50% del suo budget statale con le vendite di idrocarburi all’estero. Lo stesso giorno infatti il Brent quota 61,1 dollari e il WTI 56,29. Anche in questo caso siamo a una riduzione dall’inizio dell’anno del 40-50%. Nel frattempo, la fuga dei capitali stranieri dalla Russia sta raggiungendo l’impressionante cifra di 130 miliardi di dollari, mentre le code alle banche e ai cambia valute così come ai negozi di ogni tipo, hi tech e saloni di automobili innanzitutto, si fanno sempre più lunghe e caotiche, potremmo dire “sovietiche”, e non solo nelle vie di Mosca e San Pietroburgo.
Dopo lo sconfitta nelle elezioni di mid term del 4 novembre scorso sembra che Obama voglia coronare la sua presidenza con alcuni eclatanti successi internazionali. Grazie alla collaborazione dell’Arabia Saudita, che ha convinto l’Opec a rinunciare alla riduzione delle produzioni di petrolio, ha messo alle strette alcuni avversari storici di Washington, dal Venezuela chavista (il probabile ridursi del “fraterno” aiuto petrolifero di Caracas non è stato meno influente dell’intervento papale nel favorire il riavvicinamento dell’Avana con Washington), all’Ecuador di Correa, ma soprattutto alla Russia di Putin e all’Iran degli ayatollah.
Con la collaborazione, seppure non del tutto convinta, dell’Europa il presidente ha ulteriormente isolato la Russia con le sanzioni economiche e finanziarie. “Umiliare la Russia: l’ultima missione di Obama” titola l’editoriale di Diego Fabbri nell’ultimo numero di Limes dal titolo inquietante: “La Russia in guerra”. Se le cose precipitassero, suggerisce la rivista italiana di geopolitica, Putin non potrebbe che accettare lo scontro aperto in Ucraina, sapendo che si sta giocando il tutto per tutto. E in una escalation militare all’ombra delle atomiche, gli occidentali potrebbero improvvisamente trovarsi a dover arretrare in ordine sparso. Ma anche volendo immaginare che la profonda crisi economica porti a una crisi del regime (una replica di piazza Majdan sulla piazza Rossa di Mosca?) che probabilità ci sono che l’eventuale successore non sia persino peggio del tanto esecrato Putin? Certo non è una questione che possa preoccupare più di tanto Obama visto che sarà il suo successore a doverla gestire.
I media occidentali in genere osservano con malcelata soddisfazione le gravissime difficoltà in cui si dibatte la Russia di Putin. Ma ben pochi osservatori si soffermano a considerare che effetti avrebbe sulle economie mondiali un eventuale default di Mosca. Per restare all’Italia, nel 2013 le nostre esportazioni verso Mosca sono state di 10,797 miliardi di euro contro 20,050 miliardi di importazioni (principalmente gas e petrolio), mentre gli investimenti diretti (dato fermo al 2011) ammontavano a 5.496 miliardi. Se la questione non riguarda direttamente Washington che da un’Europa in difficoltà potrebbe persino ricavare qualche vantaggio competitivo, non mancano le preoccupazioni ai vertici della Ue sull’impatto che avrà sull’economia europea l’indebolimento del rublo e gli effetti sul sistema finanziario occidentale di una eventuale insolvenza del creditore Russia. Lapo Pistelli, viceministro degli Esteri italiano (a Mosca il 17 e 18 dicembre per chiudere quell’anello aperto dalla visita del vice ministro degli Esteri russo Aleksej Meshkov a giugno a Roma, nell’ambito delle consultazioni bilaterali che il governo fa con la Federazione Russa) ha detto che “E’ importante mantenere una dinamica positiva nelle relazioni russo-italiane, anche per un alleggerimento di questa atmosfera economica, che potrebbe diventare preoccupante per tutti: per i russi, per noi e per gli americani medesimi”. “La politica estera non si fa solo con le sanzioni – ha aggiunto. – Nessuno di noi ha interesse che la situazione bloccata tra Mosca e Bruxelles rimanga tale, perché comunque si sa quale sia l’entità dell’interscambio euro-russo, si sa quale ruolo Mosca può giocare nell’aiutare positivamente ad avviare a soluzione molte delle piaghe che abbiamo aperte in Medio oriente che sta infiammandosi. Ogni nostro sforzo è fatto non per giocare al sorpasso reciproco, ma per indurre dinamiche positive”. Per Pistelli “si tratta di cambiare il senso dell’avvitamento, dal peggio al meglio, sia sui problemi che ci hanno diviso, vedi l’Ucraina, sia sulla dinamica di altre crisi in Medio Oriente e Mediterraneo”.
Vladimir Putin per parte sua, alla consueta conferenza stampa annuale, davanti a più di 1200 giornalisti accreditati ha cercato di trasmettere sicurezza al Paese. “Il governo sta facendo tutto correttamente”, il periodo di crisi “durerà nel peggiore dei casi due anni” dopo di che il mondo tornerà a chiedere petrolio e la ripresa mondiale “riporterà la Russia in positivo, è inevitabile”. La banca centrale non sprecherà le riserve in valuta estera per sostenere il rublo. L’attuale livello di tasso di interesse non sarà lo stesso per tutta la durata della crisi economica. Nonostante tutto nei primi 10 mesi del 2014 il Pil del Paese è cresciuto dello 0,6-0,7% e le entrate saranno superiori alle spese. Sull’Ucraina “abbiamo ragione noi e l’Occidente ha torto”. Il numero uno di Mosca è sicuro del sostegno della popolazione: ”Non temo colpi di palazzo perché non abbiamo palazzi, abbiamo il Cremlino che è ben protetto, ma la cosa più importante che abbiamo è il sostegno dell’anima e del cuore dei cittadini russi”. Nessun passo indietro sulla politica estera infine: “Il muro di Berlino è caduto, ma sono loro a costruire nuovi muri virtuali, i nostri partner si considerano un impero e volevano schiacciarci fino in fondo, noi vogliamo solo difendere i nostri interessi”. L’Occidente vorrebbe “mettere alla catena l’Orso russo, strappargli i denti e poi impagliarlo” per toglierli “un pezzo di foresta”. Putin accusa gli occidentali di voler mettere le mani sulla Siberia, ricorda come gli Usa “hanno tolto il Texas al Messico”, e si scaglia contro l’aggressività degli americani: “Hanno basi militari in tutto il mondo, noi ne abbiamo solo due e il nostro bilancio militare è un decimo di quello del Pentagono. Chi sono gli aggressivi?”. Tra i primi risultati positivi della conferenza stampa, la ripresa del rublo e della Borsa.
Così, mentre dopo mezzo secolo di crisi si arriva al disgelo tra la casa Bianca e l’Avana, la guerra fredda sul fronte orientale rischia di diventare sempre più pericolosa. Il collasso della Russia avrebbe effetti devastanti non solo sull’economia ma sulla sicurezza stessa del mondo. Una situazione simile al crollo della Yugoslavia moltiplicata per decine di volte. La strada del compromesso onorevole tra russi, americani ed europei sembra davvero l’unica sensata, evitando di portare le forze Nato alle porte della Russia, così come si impedì all’Unione Sovietica di installare i propri missili a Cuba. E utilizzando magari per risolvere la questione dei russofoni di Ucraina una formula simile a quella adottata da Italia e Austria per dirimere la controversia del Sud Tirolo – Alto Adige. “Molti restano convinti che sull’Ucraina un’intesa si troverà – conclude il suo intervento su Repubblica del 18 dicembre Lucio Caracciolo – Ma il tempo non lavora per la pace – ammonisce -. E attenzione a non sottovalutare l’orgoglio di leader disabituati a perdere. A volte, per salvare la faccia, perdono il trono. Però solo dopo essersi giocato il paese”.