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Di Marco (Amgen): “Con il biotech argineremo infarti e tumori”

Dalla farmaceutica, con la possibilità di sconfiggere patologie ad ampia diffusione, all’alimentazione, con l’opportunità di risolvere il problema di nutrire 7 miliardi di persone, passando per l’industria e lo sviluppo di cicli virtuosi che possano ridurre l’inquinamento. Questa è l’era delle biotecnologie e lo conferma anche Francesco Di Marco, amministratore delegato per l’Italia di Amgen, colosso globale del biotech farmaceutico, che fattura più di 20 miliardi di dollari, è attivo in oltre 100 Paesi con circa 18mila dipendenti e ha realizzato solo nel primo quarter del 2016 cinque miliardi di ricavi, con un valore di capitalizzazione al Nasdaq di 116 miliardi di dollari.

“Siamo la Google della farmaceutica”, sostiene Di Marco spiegando quanto “l’esplosione tecnologica” di questi anni cambierà le nostre vite anche dal punto di vista medico: “Amgen sarà grado di rispondere ai fabbisogni clinici non soddisfatti di malattie diffuse come l’ipercolesterolemia familiare, il mieloma multiplo, la leucemia linfoblastica acuta PH- o il melanoma”.

Ma in che cosa consiste un biofarmaco? “Il farmaco biotecnologico – spiega di Marco – è biologico nel senso che è costruito con gli stessi mattoni con cui è costruito il nostro organismo e interagisce in maniera molto specifica con ciò che provoca le malattie. E’costruito – dice ancora il numero uno del gruppo attivo in Italia dal 1992 – solitamente per fare un solo ‘lavoro’, mentre il farmaco chimico può avere la tendenza ad agire su più piani, e quindi avere anche degli effetti secondari più importanti. Il farmaco biotecnologico ha un’efficacia più specifica”.

L’esempio tipico è quello dell’osteoporosi, per la quale è stato scoperto un anticorpo che tramite un’iniezione ogni 6 mesi ha gli stessi effetti del prodotto chimico, che però avvelena le ossa: “Il trattamento biologico è più preciso in quanto replica un meccanismo naturale”. Stesso discorso per il melanoma, trattato con un farmaco (il T-Vec) che sfrutta il potenziale di un virus, quello dell’herpes reso inattivo, per stimolare una risposta immunitaria contro le cellule neoplastiche.

La battaglia contro il cancro è ancora agli albori, per quanto riguarda il biotech, ma “in futuro si potrà prevenire meglio, creando anche farmaci ad personam. In ogni caso è certo che le nuove tecnologie ci consentiranno di sopravvivere più a lungo, convivendo con malattie molto gravi che passeranno da acute a croniche: cioè non sappiamo ancora dire se saremo in grado di sconfiggerle, ma sicuramente di vivere più tempo e meglio, che forse è ancora più importante che vivere di più”, racconta Di Marco.

Prima del cancro dovrebbe invece essere arginata l’ipercolesterolemia: ogni anno in Italia muoiono 320.000 persone di malattie cardiovascolari, che sono ancora la prima causa di decesso. Amgen ha messo a punto un farmaco, il Repatha, che sta per sbarcare in Italia e che tratta attraverso un anticorpo proprio l’ipercolesterolemia, patologia che spesso coinvolge tutta la famiglia in quanto derivante da un difetto genetico. “Quante vite potrà salvare questo farmaco non possiamo dirlo, ma intanto è certo che abbassa il livello del colesterolo”, sostiene il numero uno di Amgen in Italia. “Si tratta intanto di cambiare i paradigmi di cura, migliorando la vita dei pazienti”.

Sempre a proposito di malattie cardiovascolari c’è l’interessante caso dell’Islanda: è solo di qualche settimana fa la notizia che i ricercatori di DeCode Genetics, società islandese acquistata qualche anno fa da Amgen, sono riusciti ad individuare la mutazione di un gene che riduce i livelli di colesterolo non-HDL che sembra proteggere dall’infiammazione a livello delle placche aterosclerotiche. “E’ una scoperta che potrebbe dare il via ad una nuova era di terapie per la prevenzione dell’infarto”, rivela Di Marco.

Ma come si è arrivati a questa rivoluzione biotech e a che punto siamo in Italia? “Il biotech cresce, soprattutto nella ricerca di base, grazie a un humus molto positivo tra investimenti, startup, etc.”, racconta l’amministratore delegato per l’Italia di un gruppo che ogni anno a livello globale investe oltre 4 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, cioè il 20% del proprio fatturato: una percentuale altissima anche tra le stesse biotech, che fanno dell’innovazione la loro forza. “L’Italia, che pure è il terzo Paese europeo e tra i primi 7 al mondo come potenziale farmaceutico, è ancora un po’ ferma sul biotech: continua a prevalere la farmaceutica vecchio stampo, quella chimica, nella quale siamo secondi in Europa ma non ci stiamo mettendo al passo con le nuove tecnologie”. Addirittura l’Italia rappresenta un caso unico in Europa: crescono i pazienti e quindi successo industriale, ma questo non si traduce in successo finanziario. “Il problema? Mancanza di pianificazione da parte di Stato e Regioni”.

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Categories: Interviste
Tags: Farmaceutica