X

Di Maio e la sua Pomigliano, un amore mai sbocciato

Imagoeconomica

Otto volte su 10 compare accanto al suo nome: Luigi di Maio da Pomigliano d’Arco. Non è proprio la stessa cosa di Camillo Benso (conte) di Cavour, ma i tempi cambiano e ce ne facciamo una ragione. È vero, Di Maio ha casa a Pomigliano d’Arco, dove negli ultimi due anni sono arrivate troupe e inviati per carpire segreti e storie sulle sue origini politiche. Quelle familiari, sono state maldestramente rese pubbliche in occasione di vicende legate alle attività dei genitori. E non è stata una bella cosa. Ma la città nella quale ha vissuto, fino all’expolit alla Camera dei Deputati e poi come capo politico del M5S e vicepremier, viene comunque visitata dai curiosi politici. Nessuno ha scoperto grandi cose, a parte qualche ludica esperienza in comitati scolastici e banchetti per le primordiali iniziative dei grillini. Di Pomigliano d’Arco erano i genitori di Giovanni Leone, sesto Presidente della Repubblica, di cui Di Maio forse avrebbe voluto imitare il ruolo che Leone ebbe anche di Presidente del Consiglio. La sorte non l’ha aiutato.

A Pomigliano d’Arco, il leader M5S è ritornato da vice premier per visitare il polo aeronautico della Società Leonardo, per fare visita al suo vecchio Liceo, per farsi fotografare a tavola con la famiglia, per assistere Mimmo Mignano operaio licenziato FCA che si era dato fuoco sotto la sua abitazione. Cose così: un po’ governo e un po’ tribuno. Ma la città, che nelle cronache accompagna le sue origini, non si è mai immedesimata nella parabola del suo cittadino – per ora – più illustre. Ha ragione lo scrittore Fulvio Abbate, che giudica Luigi Di Maio un “miracolato, una creatura in vitro della Casaleggio associati, nuovo soggetto occupazionale pronto a prendersi, comunque la si pensi, la scena”?

In queste ore gioca la partita della vita. La possibilità, la capacità, di sopravvivere politicamente a se stesso usando il potere “di grazia e di perdono “concesso da Grillo e Casaleggio. È noto che non ha mai avuto un lavoro stabile e che la sua battaglia politica in favore dei rider, dicono i detrattori, è una specie di riflesso condizionato per le sue esperienze prepolitiche. Pomigliano d’Arco, tuttavia, ha una forte tradizione democratica, operaia e sindacale, segnata da decenni di lotte e di rivendicazioni di ogni tipo. Qui ha sede uno dei più grandi stabilimenti FCA, l’ex Alfasud dei tempi dell’IRI. Aveva tutte le occasioni, il futuro vicepremier e Ministro della Sviluppo Economico per imparare sotto casa, le regole del gioco democratico, certamente più difficili dei “vaffa…” di un navigato pifferaio. Aveva tempo e luogo per non pronunciare inutili minacce di riformare il sindacato, una volta che il M5S sarebbe arrivato al governo, come dichiarò a Repubblica. Non ha fatto nulla, ovviamente. E nel momento-chiave della sua ascesa ( o discesa) se fosse stato lungimirante avrebbe potuto discorrere con migliore fortuna e forse successo con l’ altro baciato dalla fortuna nel ruolo di capo di governo. Tutto questo benché dentro un movimento gestito da un privato cittadino. Invece emerge la difesa ad oltranza di posizioni ottenute dai capi e mantenute nonostante la perdita di milioni di voti alle ultime elezioni.

La città associata al suo nome pensa ad altro, a dispetto di cronisti a caccia di scoop. Non si appassiona all’accostamento Di Maio-Pomigliano d’Arco. Non c’è sentiment, né ansia per quello che il futuro gli riserverà. Ha ansia se pensa che il 4 settembre proprio al Mise si rinegozia la cassa integrazione per 4.500 lavoratori della FCA. Che c’è bisogno di lavoro, che il territorio deve essere meglio governato. Il Conte bis può segnare la fine politica di Di Maio. Chi misteriosamente lo incoronò capo del movimento, per sua disgrazia sta assistendo alla plateale metamorfosi di un uomo sedotto dal potere, la macchina vera che disvela la natura delle persone. Sta facendo di tutto per restare dov’è arrivato, ha sicuramente grinta, ma non conta essere di Pomigliano d’Arco.

Related Post
Categories: Politica