“Il bilancio pubblico si determina per legge, mentre il Pil non cresce per decreto perchè dipende da una complessa serie di fattori”. Ieri il ministro dell’economia Tremonti ha ripetuto la sua classica posizione sul tema della crescita che pur non essendo sbagliata dal punto di vista formale, si presta ad una serie di equivoci e diventa completamente errata se viene vissuta dal Governo e dalle forze politiche come impossibilità di fare davvero qualcosa che serve per la crescita dell’economia.
Ben diversa la posizione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ieri è tornato a sferzare le forze politiche, ed in particolare quelle di maggioranza, affichè si adottino “scelte coraggiose, coerenti e condivise”, proprio quelle che servirebbero ” di fronte alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano”. Insomma, ci vuole uno scatto, ” una svolta profonda non fosse altro che per istinto di sopravvivenza nazionale”.
Sembra che il Governo si rifiuti di analizzare i segnali che i mercati stanno lanciando e che invece sono molto eloquenti. Li ha decifrati il Presidente emerito Carlo A. Ciampi in una breve dichiarazione in cui ha sottolineato che, per rendere credibile la manovra di aggiustamento del bilancio recentemente approvata, occorrono misure che stimolino la crescita. Anche se non hanno effetto immediato, tuttavia sono proprio tali misure che tranquillizzano gli investitori sul futuro del Paese e sulla sua effettiva capacità di ripagare i debiti.
Il Governo, con il costruttivo apporto delle opposizioni più responsabili, quindi, può ed anzi deve mettere in cantiere una serie di riforme capaci di innalzare il potenziale di crescita dell’Italia, come del resto ha detto il Governatore Draghi nelle sue ultime Considerazioni Finali.
In primo luogo non è affatto vero che le modalità con le quali la legge per rimettere sotto controllo il deficit pubblico e portarlo a zero nel 2014 siano ininfluenti sulla crescita. Una cosa, infatti, è raggiungere il pareggio aumentando le tasse, altra cosa è farlo tagliando le spese, in particolare quelle improduttive.Il sen. Baldassarri, presidente della Commissione Finanze del Senato, sono anni che cerca di spiegare l’inganno dei tagli effettuati sulle spese tendenziali, cioè sulle previsioni di spesa degli anni futuri che sono sempre molto più alte di quelle attuali. I tagli allora consistono nel ridurre un po’ il ritmo di crescita delle spese riducendolo ad esempio dal 10% al 5%: ma sempre di un aumento si tratta. Invece, come si fa in tutte le aziende e anche nelle famiglie, tagliare vuol dire spendere meno rispetto a quanto si sta spendendo adesso. Ma evidentemente le forze politico-burocratiche che prosperano sulla intermediazione del denaro pubblico si oppongono a questa semplice verità e preferiscono continuare a prendere in giro gli italiani dicendo che si fanno tanti tagli che invece sono solo sulla carta e quindi non intaccano il loro ruolo ed il loro potere.
La riprova sta nella storia di una norma contenuta originariamente nel decreto Tremonti approvato due settimane fa, la quale imponeva ai ministeri romani di tagliare le spese del 5% rispetto al 2009. Baldassarri salutò la norma come una prima vera inversione di tendenza ed anzi propose di estenderla agli enti locali. Il risultato? la norma è stata cancellata e si continuerà con i tagli al tendenziale e quindi con gli aumenti delle tasse che inseguono i continui aumenti di spesa. “Negli ultimi anni – dice Baldassarri- abbiamo fatto sette/otto manovre per tagliare le spese ma i risultati non si vedono. Nella sanità ad esempio le spese per acquisti di beni e servizi sono aumentati nello stesso arco di tempo del 50%. C’è
forse stata una grave epidemia in Italia anche se non ce ne siamo accorti?”
Quindi bisogna tagliare veramente le spese. E’ quello che nella polemica corrente passa sotto la voce “costi della politica”. Ma non si tratta di concentrare l’attenzione solo sugli stipendi degli onorevoli o sul costo della mensa di Montecitorio. Bisogna incidere sugli 80 mila miliardi di euro della voce dei beni e servizi, sui costi della burocrazia e sugli incentivi alle imprese che spesso sono solo inutili regali.
Quindi con la legge sul bilancio pubblico si può fare molto per favorire o per vanificare le nostre potenzialità di crescita. Ma c’è un secondo filone di interventi che dipendono dalle leggi e quindi dalla volontà delle forze politiche. Basti citare le privatizzazioni e le liberalizzazioni, la riforma del mercato del lavoro, l’effettivo snellimento della burocrazia, fatto rivedendo ufficio per ufficio tutte le barocche procedure oggi esistenti e non limitandosi a colpire i “fannulloni” come fa il ministro Brunetta, ed infine, riforma più importante di tutte, con la riduzione del carico fiscale sul lavoro e sulle imprese che investono, spostandolo sugli evasori ed anche sulle imposte indirette.
Quindi le leggi, e cioè le decisioni della politica, possono fare molto per lo sviluppo e possono far tornare quella fiducia da parte degli investitori che oggi è venuta a mancare soprattutto a causa della inazione del Governo e della sua ostinazione a non voler affrontare i nodi veri del sistema italiano, mentre si continua a baloccare (polemizzando aspramente) su questioni risibili come lo spostamento al Nord dei ministeri, oppure il cambio di nome del Pdl, o peggio ad occuparsi del processo lungo o di altre questioni che non sono certo prioritarie per la sopravvivenza del Paese.