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Di Draghi ce ne vorrebbero due ma se resta a Palazzo Chigi è meglio

SuperMario di qua, SuperMario di là. Diciamo la verità: di Mario Draghi ce ne vorrebbero due, uno per il Quirinale e uno per Palazzo Chigi, ma purtroppo nemmeno SuperMario è in grado di sdoppiarsi o di raddoppiarsi. Dovremo farcene una ragione.

Con largo anticipo rispetto alla scelta del futuro Presidente della Repubblica, che il Parlamento dovrà eleggere nel prossimo mese di gennaio, non c’è chi non veda come i giochi attorno al Quirinale e attorno a Palazzo Chigi, ma principalmente attorno a Mario Draghi, siano già in pieno svolgimento. Se Sergio Mattarella non si ricrederà, accogliendo la richiesta di una parte delle forze politiche di prolungare il suo mandato almeno fino alla fine della legislatura, ad oggi il candidato in pole position per il Quirinale è il premier Mario Draghi, che molti preferirebbero però che restasse alla guida del Governo fino alle elezioni politiche del 2023. Nessuno però sa che cosa desidererebbe realmente fare SuperMario, che saggiamente si guarda bene dallo scoprire le carte, in primo luogo per rispetto dell’attuale inquilino del Quirinale, ma anche per non offrire involontariamente sponde a giochi fin troppo strumentali.

Ma che cosa c’è realmente dietro lo straordinario successo di critica che Draghi raccoglie anche di questi tempi in Italia e nel mondo? Ci sono sicuramente i risultati che il premier sta ottenendo alla guida del Governo: l’accelerazione del piano di vaccinazioni anti-Covid che con la prima dose hanno raggiunto l’82% della popolazione vaccinabile; il boom dell’economia, che quest’anno segnerà una incredibile crescita del 6% e che forse arriverà a sfiorare il 7%, come ai tempi del miracolo economico; l’avvio del PNRR e delle riforme, che porterà fino a 200 miliardi dell’Europa nelle casse dello Stato italiano. Ma, al di là delle critiche pregiudiziali dell’estrema destra di Meloni da un lato e dei nostalgici di Giuseppe Conte sull’altro versante, c’è anche la presa d’atto di quanto possa fare per l’Italia un premier di grande competenza e di indiscussa autorevolezza.

Ancora l’altro giorno la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, non ha risparmiato elogi al nostro premier e solo qualche mese fa il capo del governo spagnolo, Pedro Sanchez, aveva confessato che “quando al Consiglio europeo il presidente Draghi parla, tutti stiamo in silenzio e ascoltiamo”, perché lui è un “maestro”. Del resto come dimenticare che alla fine di luglio del 2012, nel pieno della crisi dei debiti sovrani, bastò la magia delle parole di Draghi (il famoso “Whatever it takes”) per salvare l’euro e l’Europa dal rischio di un rovinoso tracollo.

Però dietro lo straordinario consenso che Draghi raccoglie non sono tutte rose e fiori e la strumentalità di tante manovre si scorge ad occhio nudo. Come leggere l’intenzione di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini di promuovere Draghi al Quirinale? Sono forse stati folgorati sulla via di Damasco? Impossibile crederlo. In realtà Meloni e Salvini, al di là della loro evidente rivalità per la supremazia del centrodestra, fiutano il successo elettorale e vorrebbero andare al voto il più presto possibile: eleggere Draghi alla Presidenza della Repubblica diventerebbe perciò una ghiotta scorciatoia, perché quasi nessun scommetterebbe un soldo sulla possibilità che dopo la fine del Governo Draghi le forze politiche riuscirebbero a trovare l’accordo per formare un altro Esecutivo per l’ultimo anno della legislatura.

Ma se è del tutto ovvio che Fratelli d’Italia e la Lega facciano il loro mestiere, sorprende che sia i Cinque Stelle che la maggioranza del Pd siano a un passo dal cadere nella trappola. Al di là dei diversivi e dei giri di parole, sia Giuseppe Conte tra i Cinque Stelle che il gruppo che nel Pd fa capo a Goffredo Bettini e che sembra ancora in grado di condizionare la segreteria Letta, non nascondono la loro propensione ad eleggere Draghi alla Presidenza della Repubblica anche a costo di affrontare – dopo la sua elezione al Quirinale – una campagna elettorale tutta in salita, che difficilmente potrebbe capovolgere le previsioni di vittoria del centrodestra. Per quali ragioni? Non è difficile decifrarle.

Conte vorrebbe andare al voto il prima possibile per salvare il salvabile e difendere il proprio zoccolo duro di consensi che vede ridursi giorno dopo giorno dopo il brusco allontanamento da Palazzo Chigi su impulso di Matteo Renzi. La maggioranza del Pd, che non a caso ha riscoperto il “bipolarismo estremo”, vede nel ricorso al voto anticipato nel 2022 l’occasione per cogliere in un sol colpo tre obiettivi, anche se corre il rischio di un molto probabile rovescio elettorale: 1) sconfiggere la minoranza interna di Base riformista epurandola dalle liste elettorali senza dover affrontare un insidioso appuntamento congressuale; 2) liquidare le forze di centro dello schieramento politico – da Renzi a Calenda e a Bonino – impedendo la nascita di una legge elettorale proporzionale, che in realtà potrebbe dare molta libertà di manovra al Pd se fosse ispirato da una strategia più lungimirante; 3) correre verso l’abbraccio finale con i Cinque Stelle, anche se al momento di scegliere il candidato premier tra Enrico Letta e Giuseppe Conte non sono escluse scintille.

Naturalmente sia le manovre di Meloni e Salvini che quelle del Pd e dei Cinque Stelle in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica sono del tutto legittime e non c’è dubbio che una personalità del calibro di Mario Draghi rappresenterebbe al meglio l’Italia anche sul Colle, ma – come dice l’illustre costituzionalista Sabino Cassese – “il Quirinale è una fisarmonica, ma più di tanto non si può ampliare” e nemmeno Draghi da lassù potrebbe fare per il bene del nostro Paese quello che sta facendo e potrebbe ancora fare a Palazzo Chigi.

Ma, per restare al punto centrale del discorso, c’è una prova-finestra dell’interesse generale del Paese alla quale nessuna forza politica può sottrarsi. Se non si vuole scadere nella politica politicante, non si può eludere la domanda su quale sia oggi e nei prossimi mesi l’interesse principale dell’Italia. Ed è fin troppo facile rispondere che il nostro Paese ha un’occasione d’oro davanti a sé e che sarebbe delittuoso non condurre fino in fondo la lotta alla pandemia e non fare tutto quanto è possibile per prolungare ben oltre il 2021 e ben oltre il 2022 la crescita da record del Pil.

Per centrare questi obiettivi i giochi di palazzo stanno a zero e c’è una sola via maestra: quella di fare le riforme appena avviate e che l’Europa considera una condizione imprescindibile per erogare le risorse promesse e aumentare in modo duraturo il potenziale di crescita dell’economia del Paese per gli anni a venire. Alzi la mano chi crede che per raggiungere questi obiettivi ci sia oggi un’alternativa migliore alla prosecuzione del Governo Draghi e chi crede che, una volta sfasciato l’equilibrio politico attuale, sia realistico immaginare – senza nemmeno sapere quando – una soluzione più sicura, più efficace e più autorevole di quella che c’è ora a Palazzo Chigi. Lunga vita al premier Draghi.

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