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Dexia, la vittima annunciata della crisi

Il gruppo finanziario aveva già sfiorato il fallimento nel 2008 – Oggi come allora, i Governi di Francia e Belgio sono pronti a intervenire per un salvataggio in extremis, stavolta garantendo i finanziamenti raccolti dalla Banca – E a pagare saranno sempre i soliti noti, i contribuenti.

Dexia, la vittima annunciata della crisi

Sarà la prima vittima di questa lunga, interminabile crisi europea del debito sovrano? E’ molto probabile. E, diciamolo, è anche una vittima annunciata. Nella finanza la memoria è corta, cortissima: Dexia, il colosso bancario franco-belga, ora arcitraballante, aveva già sfiorato il fallimento nel settembre 2008, dopo il crack di Lehman Brothers. Allora furono Francia e Belgio a salvarla in extremis, alias i loro rispettivi contribuenti. Stavolta sarà la stessa musica. Nella mattina François Baroin, ministro delle Finanze francese, e il suo omologo belga Didier Reynders hanno assicurato che garantiranno “i finanziamenti raccolti da Dexia”. L’annuncio non è bastato a frenare la discesa agli inferi dell’azione, che in pochi minuti stamani aveva perso un terzo del suo valore. E che ancora oggi pomeriggio, intorno alle 16, cedeva quasi il 20%.

La prospettiva più probabile (e bisogna fare in fretta) è lo smantellamento di Dexia. Ossia: raccogliere in una “bad bank” tutti gli asset a rischio, forse anche la controllata italiana Crediop e quella spagnola Dexia Sabadell, troppo esposte nei confronti dei titoli di Stato dei rispettivi Paesi e anche nei confronti degli enti locali (proprio il loro finanziamento è una delle “specialità” del colosso bancario). L’insieme di queste attività saranno garantite mediante fondi pubblici francesi e belgi. Gli altri asset saranno probabilmente ceduti: alcuni, dalle prospettive apparentemente buone, come la filiale turca Denizbank, dovrebbero trovare facilmente l’acquirente (nel caso specifico si sarebbero già fatti avanti gli inglesi dello Standard Chartered). Per il resto, ancora fondi pubblici in soccorso: la Caisse des dépots et consignations (Cdc), a Parigi equivalente della nostra Cassa depositi e prestiti, e la Banque postale francese dovrebbero rilevarne un bel po’.

Francia e Belgio avevano già fatto la loro parte nel 2008, rilevando praticamente la Banca. Che era (ed è) “too big to fail”: la sua bancarotta si tradurrebbe in perdite immense per i risparmiatori belgi (nel loro Paese Dexia conta su un’importante attività al dettaglio) e in grossi problemi di finanziamento per gli enti locali in Francia e altrove. Fino al 2008 Dexia aveva la cattiva abitudine di acquisire obbligazioni su periodi molto lunghi finanziandoli a breve termine. Era tutto lì il problema. Nell’autunno di quell’anno ammontavano a 265 miliardi di euro, con l’impossibilità, in pieno marasma post Lehman Brothers, di finanziarli. Da quei tempi l’amministratore delegato Pierre Mariani ha iniziato a ridurre tale “malloppo”. Che adesso si è ridotto a 96 miliardi, ancora troppi. Oggi Dexia si trova di nuovo a corto di liquido per il loro finanziamento.

Se anche Dexia sarà salvata, alcune considerazioni sono già possibili. Banali, a loro modo. Finanziare investimenti a lungo termine con le speculazioni dei mercati è rischioso. E farlo quando si tratta di investimenti pubblici, come quelli degli enti locali, rimasti impigliati nelle maglie dei derivati (la provincia di Pisa ha fatto addirittura causa contro Crediop), è assurdo. Altra considerazione: a pagare, saranno i soliti noti. I contribuenti. Quelli di Francia e Belgio, due Paesi già nell’occhio del mirino in questa fase di bufera finanziaria. E i problemi, per loro e per gli altri, forse non sono ancora finiti.

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