X

Demografia, Livi Bacci: “Ci servono 2-300mila immigrati l’anno”

Imagoeconomica

A livello demografico, nel 2020 l’impatto della pandemia sull’Italia è stato devastante. Secondo l’Istat, la popolazione si è ridotta di 384mila unità: come fosse scomparsa una città grande quanto Firenze. Allo stesso tempo, abbiamo registrato il numero di nuovi nati più basso dall’unità d’Italia (404mila, -3,8% su anno) e il massimo storico di decessi dal secondo dopoguerra (746.146, +17,6%). Il tutto in uno scenario che era critico già prima del virus, considerato che nel 2019 il nostro tasso di natalità era stato fra i peggiori dell’Unione europea, con 1,27 nascite per donna (peggio di noi, in base ai dati Eurostat, solo la Spagna con 1,23 e Malta con 1,14).

Di fronte a numeri del genere, cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Lo abbiamo chiesto a Massimo Livi Bacci, professore emerito di Demografia all’Università di Firenze, presidente onorario dell’International Union for the Scientific Study of Population e accademico dei Lincei.

Professore, quali pensa che saranno gli effetti del Covid sulla demografia italiana nel medio periodo?

«Per quanto riguarda la sopravvivenza, che è tra le più alte nel mondo, assumo una prospettiva ottimista, nell’ipotesi che la diffusione dei vaccini avvenga senza intoppi e che non si manifestino varianti incontrollabili. La pandemia è costata circa un anno e mezzo in termini di speranza di vita nel 2020 e inciderà forse meno nel 2021. È da presumere che la sopravvivenza nel 2022 possa tornare ai livelli precedenti al 2020, riprendendo la tendenza di fondo orientata al miglioramento. Nel 2021 saranno le nascite, che rifletteranno i concepimenti avvenuti nel periodo acuto della pandemia, a segnare un ulteriore regresso, conseguenza della situazione di incertezza, dell’aumento della disoccupazione, della caduta dei redditi. Una parte di questo arretramento è presumibilmente dovuto a un rinvio dei programmi riproduttivi delle coppie e potrebbe essere recuperato in seguito, ma una parte consistente non verrà recuperata, e peserà sulla natalità dell’anno spingendo le nascite sensibilmente sotto le poco più di 400mila avvenute nel 2020».

La natalità è calata anche durante il lockdown: è la paura del futuro che spinge a non fare figli?

«Nei periodi di crisi o di pericolo il rinvio di una gravidanza è una reazione naturale, riscontrabile storicamente nelle popolazioni del passato. Tanto più nelle popolazioni di oggi, nelle quali il “comando” della riproduttività è completo e l’incertezza invita alla prudenza riproduttiva».

In questo contesto, che ruolo svolge l’immigrazione per l’Italia e per l’Europa?

«L’Italia, in Europa, è con la Spagna il grande Paese più debole sotto il profilo demografico. Le previsioni non lasciano dubbi circa la diminuzione futura della popolazione in età attiva, solo parzialmente contrastabile da un aumento dei tassi di attività. L’immigrazione, ben gestita, è un rimedio accessibile, e i candidati migranti, come ben si sa, non mancano. Ma occorre che la politica possa convergere nel riconoscere i fatti e i dati, volutamente ignorati e mistificati, per costruire progetti migratori condivisibili e fattibili».

Condivide la posizione secondo cui il calo della popolazione peserà sulla sostenibilità del debito pubblico?

«Non è il calo in sé, ma la modalità del calo: nei prossimi trent’anni, in Italia, raddoppieranno gli ultraottantenni e si assottiglieranno gli adulti. Non occorre molta teoria per comprendere le conseguenze fiscali di un tale sbilancio».

Veniamo al governo italiano: quali misure inedite potrebbe adottare per contrastare il declino demografico?

«Una sensata politica migratoria – discussa e democraticamente approvata in Parlamento – che preveda due o trecentomila arrivi all’anno; buoni meccanismi di integrazione con particolare riferimento alle donne; forti investimenti sulle seconde generazioni di immigrati per la scuola e la formazione; accesso graduato ai pieni diritti politici. E, con effetti a lungo termine, una politica sociale che veda al suo centro la nascita, la crescita e la formazione. L’assegno unico per i figli è un buon inizio».

Quali effetti potrà avere?

«Di per sé, gli effetti sulle nascite saranno limitati. Ma può essere l’inizio di una nuova politica: in primo luogo, l’assegno unico permetterà un uso migliore delle risorse a favore di famiglie e figli, finora impiegate disordinatamente, e in maniera iniqua. In secondo luogo, può costituire l’architrave di una politica più incisiva che leghi gli interventi a favore della famiglia con quelli destinati a far crescere l’occupazione femminile (in una coppia due fonti di reddito sono spesso indispensabili per assicurare la stabilità necessaria per programmare una nascita), a incentivare la parità di genere (fortemente squilibrata nell’ambito familiare), ad accelerare l’autonomia dei figli per inserirli prima nel mercato del lavoro e renderli capaci di prendere decisioni vitali (fare famiglia) oggi patologicamente ritardate».

Quali sono, invece, gli sbagli da evitare?

«Traccheggiare, rinviare, graduare, annacquare, fare questo ma non quello. Gli interventi vanno avviati tutti e subito. E devono essere mantenuti nel tempo, sottraendoli alle congiunture e ai cambi di governo».

Related Post
Categories: Interviste

View Comments (1)

  • Finalmente una voce chiara . Il saldo demografico naturale negativo pregiudica da anni la crescita e proietta un futuro fosco .
    Una apertura ad una immigrazione pianificata è imprescindibile. Speriamo che la politica la smetta di fare speculazioni e risolva i problemi