Il problema della demografia non riguarda solo l’Italia. Di recente, sono emersi dati preoccupanti sulla principale potenza economica mondiale, la Cina, che nei prossimi anni dovrà fare i conti con le conseguenze della denatalità e dell’invecchiamento.
L’anno scorso il colosso asiatico ha visto la popolazione diminuire per la prima volta dal 1949. I nuovi nati hanno registrato una flessione del 15% rispetto al 2019 (a 10,4 milioni, secondo stime preliminari), riportando il totale degli abitanti sotto la quota record di un miliardo e 400 milioni, superata nel 2019. Anche se il calo della natalità prosegue ormai da anni, l’inversione di tendenza è arrivata molto prima del previsto, considerato che le autorità di Pechino stimavano di raggiungere il picco demografico soltanto nel 2025.
La prima reazione del regime è stata cercare di nascondere la notizia. Al momento, i numeri che testimoniano il calo demografico rimangono nel campo delle indiscrezioni: il documento ufficiale che li contiene – un censimento completato a dicembre – dovrebbe essere già di pubblico dominio, ma la sua diffusione è stata rinviata. La ragione è semplice: si tratta di dati politicamente sensibili, “da maneggiare con cura”, perché potenzialmente in grado di minare la fiducia dei cittadini nel futuro, hanno rivelato al Financial Times fonti della diplomazia cinese.
In effetti, se la Cina sta invecchiando così rapidamente la responsabilità è principalmente della “politica del figlio unico”, una strategia inaugurata nel 1979 e proseguita fino al 2016. Al di là degli abomini che ha prodotto sotto il profilo sociale e umanitario, la regola introdotta da Deng Xiaoping si fondava su un presupposto errato, ovvero che l’eccesso di popolazione frenasse nel lungo termine la crescita economica. Ora che il peso delle esportazioni sul Pil cinese è nettamente calato rispetto a 40 anni fa, a Pechino si sono accorti che in realtà la crescita demografica è essenziale per quella economica, perché alimenta i consumi interni ed evita il calo della forza lavoro.
Il problema è che a questo punto, forse, è tardi per rimediare. Nei decenni passati gli effetti prodotti dalla politica del figlio unico sono stati compensati dalla giovane età della popolazione e dal progressivo aumento della speranza di vita. Oggi però le cose stanno diversamente: secondo le proiezioni, il numero degli ultrasessantenni potrebbe superare quota 300 milioni entro il 2025, obbligando le autorità a una delle riforme più impopolari: l’aumento dell’età per la pensione, che oggi nell’industria è fissata a 60 anni per gli uomini e fra i 50 e i 55 per le donne.
Per questo, da cinque anni la Cina permette alle coppie sposate di fare anche un secondo figlio. Una correzione di rotta che però non ha prodotto i risultati attesi: nel 2016 la crescita della natalità non è stata particolarmente intensa e dal 2017 è ripreso il calo, fino ad arrivare al crollo del 2020.
Da mesi si parla quindi di superare completamente la pianificazione familiare, cancellando il limite dei due figli per coppia. La misura è sostenuta anche dalla Banca del Popolo, l’istituto centrale cinese, che però chiede anche incentivi alla maternità, perché cambiare le regole rischia di essere inutile se le famiglie non vogliono (o non possono) fare più figli.