Quando, ormai diversi anni fa, lavoravo al Mattino di Napoli, scrissi una serie di articoli per sostenere la tesi che “Napoli ed il Meridione erano il nostro futuro”: e questo sia perché l’ Italia intera sarebbe potuta diventare come il nostro Sud avviandosi alla stagnazione ed al sottosviluppo, sia, al contrario, per le potenzialità che il nostro Mezzogiorno poteva esprimere sospingendo anche la crescita dell’ intero paese.
Da allora il Sud è entrato in una fase di oblio non solo nelle concrete politiche economiche, ma anche nel dibattito. Prese il sopravvento al Nord la noia ed il fastidio a sentir parlare del Sud, e tra gli stessi meridionali si diffuse un sentimento di scetticismo e rassegnazione tanto che alcuni amici economisti come Viesti e Lo Cicero scrissero libri intitolati ” Abolire il Mezzogiorno ” o ” Sud: vuoto a perdere”.
Ed invece non è retorica dire che è proprio lì che ci giochiamo il futuro. Non possiamo pensare di crescere quanto il resto dell’ Europa lasciando indietro venti milioni di nostri concittadini!
Ma per farlo dobbiamo capire bene come agire senza farci distrarre da falsi bersagli e senza dar retta a quelli che F.S. Nitti chiamava un secolo fa i “qualchecosisti”, quelli che chiedono SOLO sostegni e sussidi. E’ chiaro infatti che il destino del Sud non dipende tanto dalla quantità della spesa pubblica, ma dalla sua qualità. Le analisi dimostrano che nei decenni passati gli investimenti sono stati, in percentuale del PIL, superiori a quelli delle altre aree del paese, ma i risultati non si sono visti e le ingenti risorse destinate alle regioni meridionali sono svanite come “acqua nel deserto”. E questo perché manca una rete sociale ed economica in grado di trattenerla e farla fruttare. Questo non vuol dire ovviamente che non si devono fare investimenti pubblici, ma che essi devono essere mirati ad incrementare la produttività delle imprese e del lavoro.
Questo decreto per il Sud rappresenta un significativo “cambio di passo”. Altri interventi dovranno seguire, ma nella stessa direzione e con la stessa logica.
Del resto non c’è alcuna giustificazione economica e tanto meno una tara antropologica, che impedisce al Mezzogiorno di innalzare la produttività a livelli del resto del paese, che pure non sono ancora soddisfacenti per affrontare la concorrenza internazionale.
Lo stabilimento di Pomigliano della Fiat ha raggiunto il primato tra gli stabilimenti del gruppo nel mondo quanto a quantità e qualità della produzione. Questo è il risultato di investimenti ben fatti e di accordi sulla produttività del lavoro siglati da sindacati lungimiranti contro l’arrocco ideologico e politicamente perdente della Fiom di Landini. L’alto premio di produzione assegnato alle maestranze sta lì a dimostrare che la produttività non solo non comprime i diritti, ma consente aumenti salariali rilevanti. Peraltro, come dimostrano gli studi della Svimez, la buona crescita del Sud in questi ultimi due anni si concentra nella Campania e nella Basilicata. Ad essa non è certo estranea la ripresa del settore dell’automotive, mentre in altre regioni come la Puglia, dove domina la demagogia populista la crescita rimane ancorata a modesti zero virgola.
Nel decreto , la cui urgenza è giustificata anche da una serie di misure volte a risolvere l’emergenza di Taranto o delle zone terremotate, ci sono novità rilevanti per quel che riguarda il finanziamento della imprenditoria giovanile, la creazione di Zone Economiche Speciali, il contrasto alla dispersione scolastica, l’avviamento al lavoro e soprattutto il sostegno alle amministrazioni meridionali. Infatti la burocrazia, e le carenze di direzione politica sono sicuramente i mali maggiori che affliggono il nostro Sud.
Già oltre un secolo fa F. S. Nitti ( la cui lettura o rilettura potrebbe essere utile per reimpostare su basi corrette le politiche per il Sud) notava che nel Mezzogiorno “manca l’ambiente adatto per un vero decollo di una moderna economia”. Ecco il cuore di un rinnovato intervento verso le regioni meridionali, dovrebbe essere proprio quello di creare questo ambiente “amico” di chi vuole intraprendere.
Per continuare sulla strada aperta da questo decreto occorrerebbe lavorare intorno a due grandi temi: progetti di infrastrutture attentamente vagliati sulla produttività dell’investimento e risanamento e rinascita delle città che sono il luogo nel quale si sviluppano le relazioni ed i servizi indispensabili ad un moderno apparato produttivo. Questo darebbe quello scheletro ad un vasto territorio che, come notava il grande storico Peppino Galasso, è oggi privo di quelle strutture portanti che dovrebbero consentirgli di muoversi autonomamente.
Naturalmente qualcosa si sta facendo: Bagnoli o il piano ferroviario, sono degli esempi. Ma bisogna trovare il modo di indirizzare nella giusta direzione le autorità locali. Non sarà facile. Bisognerà adottare un misto di rigore e di incentivi, cominciando con l’essere severi con le Regioni piene di debiti come ad esempio la Sicilia dove sono in corso grandi manovre tra i partiti in vista delle elezioni di novembre, ma dove nessuno ha finora detto che cosa si dovrebbe fare per evitare il fallimento (preannunciato dalla Corte dei Conti) al di là della solita richiesta di più soldi a Roma.
Bisognerà evitare che la cultura dei meridionali di fronte alle difficoltà ripieghi su una autarchia basata su vere o presunte specificità. Sorgono così amministratori locali come il sindaco di Napoli, che indirizza la voglia di cambiamento delle masse verso un improbabile repubblica partenopea, staccando di fatto la città dal flusso della globalità .
Con questo decreto il lavoro è avviato bene. Ma già nei prossimi mesi occorre continuare a studiare nuove soluzioni per sostenere la crescita del Sud e con essa quella dell’Italia intera.