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Decreto del Fare: salta il tetto agli stipendi per i manager di Poste e Ferrovie

Tra i tanti nodi ancora da sciogliere nel decreto del Fare, su cui si sta dibattendo in queste ore alla Camera, rimane quello del tetto agli stipendi dei manager pubblici, un limite che appare doverso, ma la cui introduzione sta seguendo un percorso fitto di incidenti: a fissare il tetto a 300mila euro lordi all’anno era stato il governo Monti, nel decreto Salva Italia, ma quello stesso tetto era di fatto inutilizzabile per la gran parte delle aziende interessate.

Il decreto del Fare doveva occuparsi dell’estensione del dominio di tale limite, ma lo farà meno di quanto forse fosse lecito aspettarsi. Il tetto di 300mila euro riguarderà solo i manager delle “società che non svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica” mentre per le altre, quelle che, invece, “svolgono servizi di interesse generale” (ovvero colossi come Poste, Ferrovie e Anas) si rimanda a generici “criteri determinati dal ministro dell’Economia e delle Finanze”, d’intesa con le Authorities. Inoltre, non sarà più possibile assegnare premi in caso di bilanci in perdita.

Nonostante ciò, sull’argomento è già scoppiato un piccolo caso, con un gruppo di deputati della commissione Bilancio che ha chiesto di correggere il testo del decreto, ottenendo la risposta piccata del Governo, attraverso un comunicato diramato dal ministero dello Sviluppo economico. Il vero nodo della questione, però, è un altro, e cioè l’esclusione dall’applicazione del tetto agli stipendi alla società quotate: molte aziende, ad esempio Poste e Ferrovie dello Stato, ma anche aziende minori, hanno già provveduto ad aggirare il limite ai compensio passando nella categoria delle società quotate grazie all’emissione di titoli.  

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