Con l’ingegneria finanziaria si possono fare meraviglie, ma non miracoli. Da qualche tempo, il dott. Marcello Minenna, un dirigente della Consob, propone un sedicente “piano” (si veda qui) per risolvere i problemi dell’Eurozona.
l piano consisterebbe in una graduale mutualizzazione dei debiti pubblici dei paesi dell’Eurozona. In termini generali, la questione è all’attenzione di economisti e policy makers da molti anni e la sfida è ben nota: si tratta di trovare dei meccanismi che rendano la proposta politicamente accettabile da parte della Germania e degli altri paesi che hanno un basso debito pubblico e un alto standing creditizio, essendo evidente che per i paesi ad alto debito, come l’Italia, la messa in comune dei debiti pubblici rappresenta un enorme beneficio.
Il piano Minenna non fa fare passi avanti alla discussione e prefigura un’architettura fiscale dell’eurozona che sarebbe assolutamente insostenibile.
Nella fase di transizione, che secondo il piano durerebbe dieci anni, i debitori più rischiosi pagherebbero all’ESM (Meccanismo Europeo di Stabilità) un premio assicurativo commisurato al loro rischio. Così ad esempio, Germania e Olanda non pagherebbero nulla, mentre l’Italia pagherebbe qualcosa come 6 miliardi all’anno in media. In cambio avrebbe la possibilità di emettere dei BTP di tipo nuovo, con una “clausola di condivisione dei rischi”.
In parole più comprensibili, questa clausoletta farebbe sì che i nuovi BTP non sarebbero più un debito della Repubblica Italiana, ma diventerebbero nientemeno che un debito europeo, di cui risponderebbero in solido tutti i paesi dell’Eurozona! Questa è la bacchetta magica del piano. Per capire meglio la questione, si consideri il sistema a regime, ossia al termine del periodo di transizione di dieci anni. A quel punto, sempre secondo il piano, non esisterebbero più i debiti dei singoli paesi dell’Eurozona, in quanto tutti sarebbero stati trasformati in debito europeo. Non vi sarebbero più dunque tassi d’interesse diversi fra i diversi paesi e non avrebbe più senso parlare di un rischio Italia o di un rischio Spagna ecc. Cesserebbero di conseguenza i pagamenti a titolo di premio assicurativo in quanto non ci sarebbe più nulla da assicurare. Nelle ipotesi del piano, l’Italia pagherebbe un ultimo premio di circa 2 miliardi nel decimo anno e poi più nulla.
Quindi a regime, fra dieci anni, ogni paese dell’eurozona potrebbe emettere debito a carico dell’intera eurozona, ossia di tutti gli altri. È evidente che nessuna federazione di stati o regioni può funzionare su queste basi, perché ognuno deve essere responsabile del proprio bilancio, a meno di immaginare un controllo ferreo dei bilanci nazionali da parte di un’autorità centrale. Negli Stati Uniti, un singolo Stato non può certo emettere debito federale. Ma ciò non sarebbe concepibile neanche in Francia, dove pure il grado di autonomia degli enti decentrati è piuttosto limitato. Ogni ente decentrato emette debito di cui solo tale ente è responsabile, salvo operazioni straordinarie: rispetto a questo principio non risulta che vi siano eccezioni al mondo.
Quindi il problema di questa proposta non è solo né tanto che non sarebbe accettabile da parte dei tedeschi – perché mai dovrebbero accollarsi il nostro debito? -. Il problema è che questa proposta è incompatibile con qualsiasi ipotesi di struttura decentrata dello Stato e del sistema delle decisioni politiche.
Ci si può chiedere, anche se non sembra questa la proposta di Minenna, se lo schema assicurativo proposto possa essere applicato al solo debito in essere e non ai nuovi debiti. Anche in questo caso la risposta non può che essere negativa perché, a differenza di ciò che afferma Minenna, il premio al rischio misurato dal mercato (in base allo spread o ai CDS) non ha nulla a che fare con il costo che i tedeschi o gli olandesi si accollerebbero se fossero mutualizzati i debiti.
Se si facesse questa operazione, il debito della Germania passerebbe dal 65% del pil, il valore odierno, al 89%, il valore medio del rapporto debito/Pil dell’Eurozona. Il debito dell’Italia scenderebbe da 132%, il valore odierno, al 89%. È evidente che il prezzo equo per indurre la Germania ad accollarsi 24 punti di debito aggiuntivo è esattamente pari a 24 punti (del suo Pil), più o meno una serie di fattori essenzialmente politici, che poco hanno a che fare con i rischi misurati dal mercato. Ad esempio, da un lato, la Germania potrebbe ragionevolmente richiedere un pagamento aggiuntivo per tenere conto dell’azzardo morale che questa operazione, come qualunque operazione di condono, comporta. Per altro verso, la Germania potrebbe valutare il beneficio derivante dal fatto che la mutualizzazione dei debiti pregressi ridurrebbe la probabilità di una nuova crisi dei debiti sovrani, la ragione per la quale operazioni di questo tipo sono state proposte. Insomma, vi sarebbero molte considerazioni politiche in un senso e nell’altro, ma difficilmente ci si discosterebbe di molto dal benchmark del 24%.
Perché la Germania ottenga il suo 24% e i conti tornino a livello aggregato, ossia ogni paese paghi o riceva il giusto, l’Italia dovrebbe pagare la differenza fra 132 e 89, ossia 43 punti di Pil! Come ovvio, fatte tutte queste operazioni, non cambierebbe nulla rispetto ad oggi, nel senso che il debito netto di ogni stato non cambierebbe, a meno delle considerazioni politiche di cui si è detto. Ad esempio, l’Italia dovrebbe indebitarsi (non si sa bene con chi) per l’ammontare dei 43 punti di Pil che dovrebbe versare ai paesi creditori.
Il punto è che in questa operazione non vi è nulla di assicurativo, perché non vi sono eventi aleatori: qualunque persona di buon senso accetterebbe di accollarsi un debito il cui valore attuale (certo) è di – poniamo – mille euro solo se in cambio ottenesse un pagamento di mille euro. Appare quindi non comprensibile il ragionamento di Minenna sull’assicurazione valutata in base ai rischi di mercato.
Naturalmente tutto cambierebbe se la Germania e gli altri paesi creditori decidessero che la mutualizzazione di una parte e non certo di tutti i debiti pregressi è il prezzo da pagare per evitare in futuro una nuova crisi dell’Euro e per mantenere una solida leadership in Europa. Sarebbe una decisone fortemente politica, molto coraggiosa e forse anche azzardata. Per ora anche questa ipotesi, assai più limitata, è completamente fuori dal radar delle cose possibili.