Dopo aver dichiarato con sicurezza che il decreto sul pagamento dei debiti della PA alle imprese era praticamente pronto, il Ministro dell’Economia Vittorio Grilli, ha dovuto fare per l’ennesima volta marcia indietro. Bisogna fare ulteriori approfondimenti tecnici sia con le Regioni che con le autorità di Bruxelles e quindi ci vorrà ancora una settimana. Nuova doccia fredda per le imprese e per i cittadini che si aspettavano una boccata di ossigeno, ma anche nuova dimostrazione del marasma, non solo politico, in cui si trova il Paese. Siamo al collasso completo dello Stato: mancano le informazioni certe, mancano le procedure, e soprattutto mancano i denari per dare attuazione, almeno in parte, alle troppe facili promesse fatte un po’ da tutti i partiti durante la campagna elettorale.
Non c’è dubbio che molte imprese vantano crediti verso la PA e che, vista l’impossibilità di farsi finanziare dalle banche, rischiano di andare in crisi per mancanza di liquidità. Ma da dove nascono questi debiti arretrati delle amministrazioni pubbliche e a cosa sono dovuti, ad investimenti o a spesa corrente per forniture ordinarie? E se lo Stato interviene per ripianare tutti di debiti delle amministrazioni locali senza porre dei limiti all’accumulo di nuovi debiti non si rischia di beneficiare coloro che hanno sperperato denaro senza controllo danneggiando di fatto le amministrazioni più virtuose? E poi come si fa a non sforare i tetti del deficit imposti dall’Europa, ma che derivano soprattutto dalla necessità di non spaventare gli investitori che per ora continuano a comprare i nostri titoli pubblici ma che guardano non crescente attenzione alla politica fiscale del nostro Governo, pronti ad andarsene se dovessero vedere segnali inequivocabili di una ripresa in grande stile della nostra ben nota propensione alla finanza allegra?
Infatti oltre ai debiti verso le imprese, tutti i partiti stanno premendo per rinviare l’aumento dell’Iva, e la nuova Tares oltre che per trovare i denari per gli esodati e per rifinanziare la cassa integrazione in deroga. Se poi ci aggiungiamo il reddito di cittadinanza voluto dai grillini, gli investimenti dei piccoli comuni sollecitati dal Pd, la restituzione dell’Imu promessa dal Pdl, si può ben vedere che stiamo ponendo le basi per un crack colossale della nostra finanza pubblica, senza alcuna speranza di riattivare la tanto necessaria crescita della nostra economia. La questione dei crediti vantati dalle imprese è l’esempio più eclatante dello sfacelo del nostro sistema. Qualche mese fa il Governo aveva varato un decreto per far certificare le fatture selle imprese da parte delle amministrazioni locali così da permettere alle stesse aziende di scontare le fatture in banca e quindi recuperare liquidità. Ma la misura non ha avuto successo: ben poche imprese hanno presentato le fatture alla “bollinatura”ed ancora meno sono quelle che l’hanno ottenuta. Oltre alla possibilità di scontarle in banca, queste fatture potevano essere usate come compensazione delle tasse e dei contributi che le imprese devono pagare allo Stato. Nessuno riesce a capire le ragioni di un tale flop!
Poi ci sono tutti gli aspetti contabili per evitare lo sfondamento del deficit e che però non sono solo aspetti formali ma riguardano anche la sostanza del problema. Se si tratta di debiti dovuti a spesa corrente e non ad investimenti, infatti non è possibile evitare di far passare queste somme solo dalla stato patrimoniale senza farle incidere sul deficit e quindi si è dovuto inventare un sistema di prestiti agli enti locali ( rimborsabili in trent’anni) che quindi non configurano nuova spesa ma solo spostamento del debito. Di qui sorge il problema della garanzia della rimborsabilità di questi nuovi debiti e quindi la necessità di prevedere una norma per dare la possibilità alle Regioni di aumentare l’addizionale Irpef. Coro di riprovazione! Tutti a gridare allo scandalo! Si pagheranno le imprese con i soldi dei cittadini! Ormai la cultura popolare spinge verso il disconoscimento di qualsiasi regola di buon senso, e preme affinché qualcuno stampi i soldi che mancano. A nessuno, nemmeno a molti illustri professori, viene in mente di premere affinché lo Stato e gli enti locali riducano le spese o vendano beni pubblici che peraltro non sanno gestire.
C’è poi il fantomatico ricorso ai forzieri della Cassa Depositi e Prestiti. Pochi sanno che i soldi della Cassa sono già depositati in Tesoreria e che se vengono prelevati,dovranno essere sostituiti con altrettante emissioni di titoli pubblici tornando quindi ai problemi di debito e di deficit di cui sopra.
Siamo di fronte ad un ennessimo problema insolubile? No ma non si può affrontare con faciloneria o con il solito egoismo di parte. Bisogna certamente aiutare le imprese a sopravvivere, ma anche il presidente di Confindustria non può ignorare che una finanza pubblica fuori controllo comporterebbe tassi d’interesse ancora più alti con effetti negati sulle stesse aziende che si vuole aiutare.
In realtà la confusione in cui sono piombati i partiti tradizionali e il populismo di Grillo,stanno facendo dimenticare che il vero problema dell’Italia è la perdita di competitività e che questa è dovuta soprattutto al caos del settore pubblico che gestisce oltre la metà del Pil e che finchè non si metterà ordine alla confusione istituzionale ed amministrativa non ci potrà essere alcuna ripresa dello sviluppo. Ma di questo i partiti che stanno invano tentando di dar vita ad un nuovo governo, non parlano, ed anzi non sembrano nemmeno consapevoli della profondità della crisi italiana e del coraggio che ci vorrà per metterci riparo.