“La politica di austerità non ha pesato tanto per i vincoli che i singoli Stati erano tenuti a rispettare,vincoli necessari a garantire la sostenibilità complessiva dell’area UE, quanto per aver impedito una intonazione espansiva della politica economica europea nel suo complesso. Ci sarebbe bisogno piuttosto di un ruolo più attivo del bilancio della Comunità, ed ancor più della zona Euro capace di affiancare la politica monetaria molto accomodante della Bce”. Claudio De Vincenti, esponente del PD, è stato nei Governi presieduti da Letta, Renzi, e Gentiloni con vari incarichi da sottosegretario al MISE, ed alla Presidenza del Consiglio a ministro del Mezzogiorno e della coesione territoriale. E’ stato quindi protagonista delle scelte che quei governi hanno fatto nel tentativo di far uscire l’Italia dalla doppia recessione del 2008-2009 e del 2011-2013 che avevano provocato la perdita di quasi 10 punti di PIL ed un aumento della disoccupazione di quasi un milione di unità”.
Oggi una parte della pubblica opinione e molti partiti politici tentano di attribuire all’Europa tutte le colpe della nostra crisi economica e delle difficoltà che abbiamo avuto per uscirne. La ricetta, secondo costoro, sarebbe quella di riacquistare sovranità monetaria uscendo dall’euro, e limitando i poteri della stessa commissione europea in modo da dare ai singoli paesi ampia libertà nelle scelte di politica industriale e nel campo del commercio internazionale.
“E’ un’analisi superficiale che conduce a scelte molto dannose per tutti i cittadini. L’esperienza dei nostri governi dimostra che la flessibilità di bilancio che abbiamo ottenuto da Bruxelles ci ha consentito di puntare sul sostegno all’industria agevolando in vari modi gli investimenti e le assunzioni, e di rifinanziare gli investimenti in opere pubbliche, che peraltro sono stati ostacolati da altri fattori, e non dalla carenza di risorse. In Europa abbiamo avuto una politica monetaria molto accomodante che ha consentito di tenere bassi i tassi d’interesse sia per i titoli pubblici sia per gli investimenti privati, ma è stata troppo modesta la politica fiscale, e cioè sono mancati gli strumenti per affiancare alla politica monetaria, una politica di bilancio europea espansiva ad integrazione di quello che potevano fare i singoli Stati, molti dei quali, come l’Italia erano alle prese con un alto debito pubblico e con politiche volte a ridurne il peso. Il piano Juncker è stato certamente un segnale positivo nella direzione giusta, ma l’ammontare non è stato sufficiente. Peraltro l’ Italia è stato uno dei paesi che ha meglio utilizzato queste disponibilità sia per opere infrastrutturali che per finanziare investimenti nelle imprese”.
Quindi ci vorrebbe più Europa e non meno Europa come dicono i sovranisti. Macron lo sostiene da tempo, ma i passi in avanti sembrano per il momento, piuttosto timidi.
“Certamente. E qui veniamo al ruolo dell’ Italia. Con il recupero di controllo sulla finanza pubblica e le politiche di crescita siamo riusciti ad uscire dall’abisso della recessione ed abbiamo raggiunto nel 2017 apprezzabili risultati di ripresa economica e occupazionale. Avevamo riguadagnato credibilità in Europa e facevamo sentire la nostra voce di grande paese fondatore che partecipa alle decisioni strategiche sugli assetti futuri dell’Unione europea. L’attuale governo invece ha dissipato la faticosa opera di ricostruzione della nostra credibilità, isolandoci dai nostri tradizionali partners. Il risultato è che noi a gennaio scorso non eravamo come sarebbe stato naturale, ad Aquisgrana con Francia e Germania. Una differenza abissale dal vertice a tre del 2016 a Ventotene. Del resto è evidente che oggi ci vuole più Europa proprio per poter fare quelle politiche espansive che i singoli governi non possono permettersi. L’intera unione presenta un saldo commerciale in forte attivo e questo vuol dire che noi cresciamo meno di quanto potremmo e non contribuiamo a trainare la crescita del resto del mondo. E’ una situazione che solo autorità europee più forti possono riequilibrare sia nell’interesse economico dei cittadini europei sia per poter avere un peso nello scenario mondiale”.
Alcuni esponenti dell’attuale maggioranza di governo, come l’On. Borghi continuano a sostenere che per l’Italia sarebbe più conveniente uscire dall’euro in modo da poter stampare a piacimento la nostra moneta e fare una politica del cambio accomodante, cioè poter svalutare in modo da recuperare competitività.
“L’Onorevole Borghi si dimentica di come si stava quando c’era la lira. La svalutazione certamente consente di recuperare competitività alle nostre merci, ma provoca anche inflazione che mangia la competitività così riconquistata. Negli ultimi anni il ciclo si è fatto sempre più breve, cioè i vantaggi durano sempre meno, senza contare gli altri problemi che la svalutazione provoca ai lavoratori a reddito fisso e agli investimenti. La verità è che entrando nell’euro i nostri tassi d’interesse sono scesi moltissimo liberando spazio nel bilancio della Stato per investimenti e per il sostegno all’innovazione delle imprese. Purtroppo l’Italia ha approfittato poco di questa occasione. Ed è bene ricordare che in quegli anni il governo era di centro-destra con la Lega in posizione rilevante. Quando con i governi di centro-sinistra abbiamo saputo utilizzare quegli spazi l’economia italiana si è rimessa in moto. Anche l’attuale governo ripete quell’errore. Infatti il premier Conte aveva detto in settembre che i mercati si sarebbero tranquillizzati quando avessero conosciuto i contenuti reali della manovra di bilancio. Ed proprio quando quei contenuti sono stati resi noti lo spread è salito ancora per poi stabilizzarsi tra i 250 ed i 300 punti, oltre 200 punti al di sopra della Francia e 150 punti al di sopra della Spagna. E questo perchè lo scetticismo riguarda non solo i saldi (il deficit a 2,04% è comunque poco credibile), ma anche i contenuti che, come ha rilevato l’ultimo rapporto di Bruxelles non danno alcun supporto alla crescita e aggravano l’indebitamento”.
Veniamo allora alla politica di bilancio del Governo. Come valutare il reddito di cittadinanza?
“Intanto, come tutte le stime indicano, il RdC non darà una spinta significativa ai consumi e quindi alla crescita. poi quello che, a mio giudizio, è più grave, è che in questo modo si distorce il funzionamento del mercato del lavoro dato che verrebbero disincentivati il part-time o il lavoro a bassa remunerazione, mentre verrebbe favorito il lavoro nero a scapito di quello regolare. E questo avrà gravi effetti sul funzionamento dell’economia, frenandone la crescita. Il REI, introdotto dai nostri governi si basava su un principio fondamentale: prima i servizi sociali insieme al beneficiario elaborano e sottoscrivono un protocollo di reinserimento e poi si eroga il sussidio. In questo caso, invece, il sussidio viene comunque erogato prima della definizione del protocollo, e poi quando possibile, quest’ultimo sarà eventualmente elaborato Cambia tutto! Insomma da un lato lo Stato si indebita solo per fare spesa corrente in sussidi e dall’altro si fa perdere competitività alle imprese a causa di una grave distorsione del mercato del lavoro. Quindi non è un caso che la crescita si sia rapidamente interrotta!”.
Ora il nostro governo sostiene che presto saranno riaperti i cantieri e saranno rilanciate le opere pubbliche, rilancio che peraltro anche i vostri governi hanno avuto difficoltà ad attuare. Così come si spera in una ripresa degli investimenti privati.
“Osservo che la legge di bilancio ha depotenziato le risorse per le imprese, eliminato le agevolazioni per gli aumenti di capitale, ridotto il credito d’imposta per gli investimenti al Sud, tagliati per quest’anno i fondi di coesione di ben 1650 milioni, e le risorse destinate all’ANAS ed alle Ferrovie. Per quanto riguarda poi gli investimenti pubblici gli ostacoli di ordine politico-burocratico sono molti e dubito che basti una cabina di regia a Palazzo Chigi per superarli. Rischiamo solo di creare nuove strutture burocratiche che aumentano gli ostacoli. Per elencarne solo alcuni, che del resto sono stati ben descritti da uno studio dell’Assonime, presentato pochi giorni fa, direi che il primo luogo bisogna fare chiarezza nell’attribuzione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali. Ma ora, dopo la bocciatura del referendum costituzionale, ci si muove in direzione opposta. Poi ci sono le norme barocche ad esempio in materia ambientale. Ed ancora le conferenze dei servizi, nonostante la semplificazione introdotta tre anni fa, restano ancora estremamente macchinose. Poi c’è la qualità dei progetti che la PA non riesce più a fare. Inoltre si parla di rifare il Codice degli appalti che per la verità ha aumentato la trasparenza delle gare ma ha creato una serie di problemi di adattamento nell’amministrazione, ora sono in via di superamento. Sarebbe bene non puntare a rifare tutto da zero, ma puntare solo a correggere alcune regole poco chiare o troppo complicate. Infine cito il problema del contenzioso dove non si disincentivano adeguatamente le così dette liti temerarie, e soprattutto l’insufficiente certezza del diritto che spinge i dirigenti a tutelarsi preventivamente chiedendo pareri all’ANAC, all’Avvocatura ecc prima di mettere una firma per dare il via ai lavori. Il Governo Conte non mi sembra in grado di intervenire su tutte queste materie”.
Lei è stato ministro per il Mezzogiorno. Il suo incarico era stato salutato da molti osservatori come un rinnovato interesse del Governo per il Sud. Diverse cose sono state fatte, eppure nelle ultime elezioni i meridionali hanno votato in massa per i 5 Stelle. Non vi hanno capito, o le cose fatte sono state considerate poco incisive?
“Noi abbiamo in primo luogo recuperato interamente i fondi europei che dovevano essere spesi entro il 2015, poi abbiamo impostato il nuovo piano al 2020 rispettando le tappe fissate dalla stessa Commissione europea. Ad esempio, contrariamente a quanto affermato da alcuni articoli di stampa grazie al lavoro impostato dal governo Gentiloni, la tappa che prevedeva di spendere 8 miliardi entro il 2018 è stata pienamente rispettata. Poi abbiamo promosso i patti con le Regioni che sono fondamentali per monitorare lo stato dei progetti ed evitare ritardi. Inoltre abbiamo varato il credito d’imposta per gli investimenti che al settembre scorso aveva attivato iniziative per 6 miliardi. Infine abbiamo varato l’iniziativa “Resto al Sud ” per finanziare le startup di giovani che finora ha raccolto 13 mila domande che potrebbero creare circa 40 mila posti di lavoro, e le zone economiche speciali che sono un modo per attrezzare il Sud ad inserirsi nelle grandi rotte dei traffici internazionali provenienti con la Cina e, speriamo presto con il Nord Africa. Dal quel che vedo l’attuazione di queste misure ristagna: le zone economiche speciali sono ferme alle due Campania e Calabria, già istituite da noi. Dei patti per il Sud non c’è stato un rendiconto pubblico dopo il nostro del gennaio del 2018. E’ un peccato perchè il risultato delle nostre politiche è stata una crescita del Sud superiore nel 2015-2017 superiore a quella delle altre regioni italiane. Certo non basta un triennio di ripresa per rimarginare le ferite inferte dalla crisi nel corpo vivo della società italiana, specie al Sud e tra i giovani. E questo noi lo abbiamo sottovalutato”.
Ma questo è stato un po’ l’errore principale dei governi di centro-sinistra. E vale in tutti i campi.
“In effetti i nostri governi si sono concentrati sul rimettere in moto l’ Italia valorizzando le capacità e le competenze. Ma non abbiamo valutato correttamente la profondità della crisi provocata dalle due recessioni subite dall’Italia. Il trauma ha colpito non solo chi si è ritrovato senza lavoro, ma anche gli occupati che hanno perso qualsiasi certezza sia sulla possibile crescita salariale sia sulla stabilità del posto di lavoro. La perdita di sicuri punti di riferimento ha provocato rabbia e risentimento. Che noi purtroppo non abbiamo saputo cogliere fino in fondo. Purtroppo l’attuale governo propone solo scorciatoie illusorie ed i nodi stanno già venendo al pettine”.